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domenica 15 aprile 2012

Mareggiata Blues, 5-1 al Tottenham


Come ieri, anche oggi metà dello stadio Wembley di Londra si tinge di blu, mentre l’altra metà di bianco, anziché di rosso. Ieri abbiamo gustato il “derby dei Beatles”, Liverpool-Everton (terminato 2-1), oggi quello dei “The Who”, o meglio, una delle tante stracittadine londinesi, Chelsea-Tottenham. Eventi emozionanti, valevoli per la finale di FA Cup che si terrà sempre a Wembley, il 5 maggio.
LONDON, ENGLAND - APRIL 15:  Frank Lampard of Chelsea celebrates victory after the FA Cup with Budweiser Semi Final match between Tottenham Hotspur and Chelsea at Wembley Stadium on April 15, 2012 in London, England.Quella di oggi è una giornata particolare, delicata, in Inghilterra, poiché ricorre il 23simo anniversario della tragedia dell’Hillsborough, ma siccome le disgrazie non tardano mai ad arrivare, durante le due partite giocate oggi (l’altra è Manchester United-Aston Villa, di Premier League) è stato ricordato Piermario Morosini, tragicamente scomparso ieri durante Pescara-Livorno, con un commovente minuto di silenzio. Si gioca nel tempio del calcio inglese, Wembley, là dove i sogni si realizzano oppure si infrangono. A sfidarsi sono il Chelsea di Di Matteo, che vede presentarsi all’orizzonte nove giorni in cui si deciderà molto del suo futuro e della stagione del Chelsea, tra semifinali di FA Cup e di Champions League, contro il Tottenham, reduce da solamente due vittorie nelle ultime sette partite, che schiera tra i pali Cudicini, ex-compagno di squadra e di vittorie dell’allenatore italiano.
Nel primo tempo non accade granché, facendo quasi rimpiangere la partita di ieri, se non qualche sporadica sgroppata di Bale e qualche invenzione di Juan Mata. Iniziano decisamente meglio i Blues, che spingono con Kalou e Ramires, illuminati da Mata, che scaricano a Drogba la responsabilità di segnare, con la pretesa di ottenere la finale contro il Liverpool in scioltezza, per poter già pensare al Barcellona. Crea poco tuttavia la squadra di Di Matteo, sprecando un clamoroso contropiede al 27’ con Kalou che serve Juan Mata, tagliando tutta la difesa, ma il controllo dello spagnolo semplifica a Cudicini l’uscita coraggiosa. Quando si sveglia il Tottenham la musica non cambia, poco fumo e poco arrosto. Lennon ci prova da fuori, Adebayor manca l’appuntamento col pallone facendo sì che si stampi sul palo, ma il risultato resta lo stesso, almeno fino a quando al 42’ minuto Drogba non chiarisce tutti i dubbi riguardo il suo valore e quello di Villas Boas, che gli preferiva Torres. L’ivoriano è con le spalle alla porta, marcato da Gallas: un tocco all’indietro per girarsi e  un sinistro potentissimo alle spalle di Cudicini. Si rientra negli spogliatoi con il Chelsea che possiede già mezzo biglietto della finale.
Dopo soli 4 minuti dalla consueta bevuta del te (forse un po’ in ritardo rispetto agli standard d’Oltermanica) accade quello che in Italia tanto amano, ma che Inghilterra non porteranno avanti per dei mesi, annoiando così le letture monotone dei tifosi: un caso di gol-non gol. Non servono a nulla due prodigiosi interventi di Cudicini, prima su Mata e poi su David Luiz, perché dalla mischia, lo stesso spagnolo calcia in porta, senza che il pallone varchi la linea di porta perché salvato da Assou-Ekotto, ma Atkinson, titubante, assegna il gol del 2-0 a Mata, scatenando così l’ira degli Spurs. Spurs che vengono nuovamente penalizzati dopo 7 minuti, poiché nonostante Bale segni a porta vuota, Cech andava espulso per l’intervento su Adebayor con conseguente calcio di rigore. Non serve a nulla tuttavia il gol del gallese, perché dopo un periodo morto di gioco, al 77’ Mata serve Ramires in mezzo all’area, che d’esterno destro “scucchiaia” il pallone per la terza volta nella rete di Cudicini. A mettere il punto esclamativo alla superlativa prova dei Blues (arbitro a parte) e a far prendere la via di casa con almeno 10 minuti d’anticipo ai tifosi del Tottenham ci pensano Lampard e Malouda, timbrando così un 5-1 che lascia poco spazio ai dubbi quando si riparlerà di questa partita. Prima l’inglese segna su punizione da 35 metri, ingannando il portiere italiano e dedicando come al solito il (gran) gol alla madre scomparsa; poi Malouda, dopo che Parker aveva scatenato una mezza-rissa, sfrutta al meglio l’ennesimo assist di razza spagnola e fa scivolare il pallone sotto Cudicini.
I giocatori saranno pure gli stessi, l’allenatore no. Allora è proprio l’allenatore italiano che ha il merito di questo straordinario finale di stagione dei Blues? Intanto, Spurs polverizzati, ticket per la finale di FA Cup in tasca e testa al Barcellona e al destino, col quale si ha un appuntamento mercoledì sera alle 20:45. Vietato sbagliare.

City inarrestabile, 6-1; il Liverpool è la prima finalista di FA Cup


Carlos Tevez of Manchester City celebrates, gesturing towards Norwich City fans, after scoring his second goal against them in their English Premier League soccer match in Norwich, eastern England April 14, 2012.
In una giornata dolorosa per il calcio mediterraneo, quando ancora la tragica notizia non era nemmeno immaginabile, in Inghilterra abbiamo avuto modo di assistere a parecchie partite, su tutte il derby di Merseyside e il City di Mancini di scena contro il Norwich.
Memoria onorata – A un giorno dal 23esimo anniversario della strage di Hillsborough, il derby di Liverpool va in scena lontano dai cancelli di Anfield o del Goodison Park, esattamente a Wembley, dove si giocano come è consuetudine, le semifinali di FA Cup. Nella tragedia dell’89, durante la semifinale di FA Cup contro il Nottingham Forest, morirono 96 tifosi reds, e la finale poi vinta dal Liverpool fu giocata proprio contro gli acerrimi rivali, i Toffies. Se non bastano i due derby cittadini in Premier, ecco che viene in salvo la Coppa Italia d’Inghilterra, come spesso è chiamata da noi, a regalare emozioni umane (minuto di silenzio e tributo con fiori e fasce nere) e sportive (la partita in sé). Subito la bilancia pende sulla sponda blu dello stadio della Nazionale inglese, per merito di Jelavic che in maniera molto cinica sfrutta un erroraccio difensivo di Agger e Carragher in fase di rinvio, trafigge la porta di colui che ha commosso una nazione intera, Jones. Quando oltre alla retroguardia anche l’artiglieria pesante sbaglia (vedi Carroll, che si divora un gol di testa facile facile) sembra tutto perduto, ma non è così: Suarez lotta per rimpossessarsi dello scettro del cinicism, e Suarez non esita ad accompagnare in rete un retropassaggio suicida di Distin. Verso la fine, a regalare la finale ai tifosi sponda red, così da mettere un po’ di sale su questa stagione insapore, ci pensa proprio Carroll, che traducendo in inglese“dalle stelle alle stalle”, goes from zero to hero.
Citizens alla sesta – 11 gol in due partite: è questo lo score del City di Mancini contro il Norwich di Lambert quest’anno, apprezzabile rivelazione della stagione inglese, che però nulla può contro lo strapotere petroliero di Moss Side. Dopo un match (tennistico?) vinto dai Citizens per 6-1, nonostante il risultato sia leggermente esagerato e crudele nei confronti dei Canaries, viene un po’ il dubbio riguardo al finale di Premier League: se Tevez avesse continuato a giocare anziché flirtare con Galliani e giocare a golf, dove sarebbe oggi il Manchester City? Ancora aggrappato a delle misere speranze provvidenziali dipendenti solo ed esclusivamente da un harakiri dei Red Devils, o appollaiato in cima alla classifica, a scrutare tutti dall’alto al basso? Eh si, perché è proprio l’Apache, Tevez, a trascinare i compagni di squadra alla vittoria. Una bella portata di Asado argentino, condito dalla ritrovata coppia del gol Tevez-Aguero ha fatto sì che il primo segnasse una tripletta, aumentando così i rimpianti di Berlusconi & co., mentre il secondo si accontentasse “solo” di una doppietta. Lo smash finale arriva grazie ad Adam Johnson, giocatore forse sminuito, perché inglese, dai suoi compagni costati decine e decine di milioni di euro. Il gol del Norwich, l’unico, è arrivato dai piedi di Surman, quando ancora il punteggio era sullo 0-2. Il microfono passa alla squadra di Ferguson, che può e deve vincere contro un inguaiato Aston Villa.
Lo Swansea si rimette in carreggiata, battendo per 3-0 il Blackburn, mentre il QPR di Cissè perde contro il West Bromwich, restando così a rischio retrocessioni. Finisce a reti inviolate la partita tra Sunderland e Wolverhampton.

domenica 1 aprile 2012

Oh Juvita, Juvita mia..


In termini tennistici, il Milan ha alzato una palla troppo in alto, perché la Juve non la “smashasse”: 1-1 col Catania (e che Catania) e possibilità ai bianconeri di portarsi a -2. Pronti, via, lo stadio è, come sempre, stracolmo, ma assiste ad un primo tempo scialbo, dei più noiosi della domenica calcistica, dove l’unico spettacolo sono i tifosi. Ci provano Borriello e Vidal, ma la palla esce entrambe le volte, e Hamsik, che però si fa ipnotizzare da Buffon. Si arriva al 45’ con una Juve più aggressiva di un Napoli molto sottotono, ma di concretezza in campo, proprio non se n’è vista.
Come contro l’Inter, la metamorfosi “Kontiana” si materializza nello spogliatoio, dal quale escono 11 indomabili leoni, e altrettanti docili agnelli, vittima sacrificale della Pasqua bianconera. Bisogna attendere solo 9 minuti, e in maniera più che fortunosa, Bonucci devia un tiro di Vucinic in mischia e spiazza De Sanctis, superstite fino a quel momento della gita torinese dei partenopei. L’esultanza del difensore a mo’ di culla, è forse presagio della sua rinascita, quella che tutti i tifosi bianconeri e azzurri (si intende della Nazionale) aspettavano. Il gol, in dubbio fuorigioco, precede un gol (stavolta regolare) annullato a Vucinic, ma la storia non cambia; a mettere al sicuro l’imbattibilità bianconera ci pensa Vidal, che dopo una serie di finte dal limite dell’area si inventa un gol fantastico di sinistro, chiudendo di fatto la partita. Dopodiché, diventa un vero e proprio tiro al bersaglio, con Quagliarella che si vendica di tutto il male che gli è stato tirato addosso dai suoi compaesani, segnando il terzo gol della serata, il secondo stagionale in campionato. La ciliegina sarebbe un gol del pupillo dello Stadio, niente meno che Del Piero. Volenteroso, quasi egoista, si ostina e sfiora due volte il gol, ma forse la Juve chiede troppo. Lo Juventus Stadium che canta “O’ Surdato ‘Nnamurato”, con un aggiunta di Ju- (Oh Juvita), è già abbastanza, per una lotta allo scudetto che si appresta a regalarci ancora tante emozioni. Nota stonata della serata, Borriello, che si danna in tutto e per tutto, ma sbaglia anche il non sbagliabile. I numeri parlano da soli: 19 tiri contro 5, e un espulsione nel finale per gli Azzurri (gomitata a Chiellini da parte di Zuniga).
Carica di aspettative, la partita non le ha tradite, e ora all’orizzonte ci sono due bellissime sfide per lo Scudetto e per la Champions, senza tralasciare quella per la salvezza. Ringraziamo questa Juve e il suo artefice, mister Conte, senza i quali il campionato sarebbe già bello che chiuso. La strada dei bianconeri è in salita, quella del Milan in discesa, ma il calcio ci abituato a tante sorprese, no?

venerdì 23 marzo 2012

Messi si copia e supera Cesar: nuovo Record


 
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Size:  88.7 KB1-2-3-4, voilà. Da 1 a 234, da Albacete a Granada, ecco un nuovo record.
Succede che ormai si cade nel banale, nel <<già detto>>, nel ripetitivo ossequiare (e questa non è un’eccezione) colui che forse supererà, o ha già superato, i mostri sacri della storia del calcio, Maradona e Pelè, ovvero Lionel Messi. Alla tenera età di soli 24 anni (!), la Pulce fa sì che la storia diventi veramente storia, archiviando un eroe balugrana come Cesar Rodriguez, raggiungendolo e sorpassandolo a quota 234 reti con la maglia del Barça. Ormai un nuovo record di Lionel è all’ordine del giorno, (uno tira l’altro) nonostante prima o poi quest’ultimi finiranno. La stella agli ordini di Guardiola non sa neanche più cosa inventarsi; dopo i gol al Panathinaikos, al Real, al Getafe, al Siviglia (giusto per citarne qualcuno tra i più belli da ammirare), Messi ormai si copia da solo: andatevi a riguardare il primo gol segnato con il Barcellona, contro l’Albacete, e quello del record in questione, contro il Getafe. Noterete che si assomigliano in maniera incredibile, oltre ad essere bellissimi da vedere. Ci sembra di aver visto tutto, ma ogni domenica, e mercoledì, il tre volte pallone d’oro ci ammalia con nuove delizie, nuove perle, sempre più belle e decisive. E se come Ligabue insegna, “il meglio deve ancora venire”, aspettiamo con impazienza il futuro, soprattutto Brasile 2014, vero e proprio banco di prova per Messi e la “sua” Argentina. Ringraziamo il magnifico gioco del Calcio, e il suo Genio e amante per eccellenza, perchè tra 40, 50 anni, potremo dire:<<Io ho avuto la fortuna di vedere giocare quel talento, Lionel Messi>>. Name:  Lionel-Messi-Trophy-Barcelona-Champions-Leagu_2602942.jpg
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martedì 20 marzo 2012

Il Capitano e il genio uscito dalla Lampada: la Juventus vola in finale di Coppa Italia


 
Non accadeva dal lontano 2006, quando la Juventus giocò la Supercoppa Italiana: finalmente i bianconeri tornano a disputare una finale e a giocarsi la possibilità di aggiungere un trofeo in bacheca. Per raggiungere questo obiettivo è stato necessario sacrificare la “verginità” dello Juventus Stadium, oggi stuprato da un Milan che esce a testa alta, nonostante le numerose assenze, con la mente già al Barcellona. Sebbene la Juventus esca sconfitta per 1-2 dopo i 90 minuti, che ha così regalato altri 30 minuti di spettacolo e sofferenza, amore e scaramanzia, la squadra di Conte strappa il biglietto per la finale del 20 maggio grazie ad una magia di Mirko Vucinic, al 96’.
La partita, che era prevista orfana di Ibrahimovic, invece sceso in campo contro tutto e tutti, ha regalato emozioni fin da subito, facendoci dimenticare quelle inutili e disgreganti discussioni pro o contro gli arbitri. La sorpresa che ha regalato un sorriso, (e una linguaccia) a tutti i tifosi bianconeri è senza dubbio la titolarità del capitano Alessandro Del Piero, che servito da Lichsteiner dopo un’invenzione di Pirlo sblocca il risultato alla mezz’ora. Dopo una prima frazione “agréable”, il secondo tempo comincia col botto: gol di Mesbah, forse il peggiore in campo nei primi 45 minuti, e ora ancora di salvezza rossonera. Intanto Ibra ha lasciato il campo al posto di Maxi Lopez: mai cambio fu più azzeccato. L’argentino regala dinamismo e velocità in attacco, condendo la prestazione tattica con un gol da cineteca, aggirando due difensori e scaricando un destro potente sotto la traversa. Su questi due gol, c’è la firma trascendente di Galliani, che ha portato questi due nuovi volti a Milano, e il secondo di questi, ha dato inizio alla risalita del Milan, segnando a Udine. La Juve ci prova fino allo scadere, soprattutto con Vucinic, ma avendo un Borriello che in campo incarna l’anti-Juve per eccellenza, sembrando più stanco di chi ha corso 70 minuti più di lui, è difficile segnare. Allora la direzione è una ed una sola: supplementari. E dopo soli cinque minuti, il genio esce finalmente dalla lampada: dopo tre prestazioni una più bella dell’altra (Genova, Firenza e questa), Vucinic sceglie di diventare decisivo, scagliando da distanza siderale un siluro sotto l’incrocio dei pali, proprio quello che aveva infilato Del Piero contro la Roma; i giardinieri non dovranno togliere le ragnatele da lì almeno per un bel po’.
Il finale è solo per i cuori forti, in quanto un gol di Inzaghi & co. (sì, proprio Inzaghi, che improvvisamente si accascia infortunato, stringe i denti e resta in campo, guadagnandosi una compassione positiva, da parte di tutti i tifosi di calcio) cambierebbe tutte le carte in tavola. Fortunatamente, per il cuore di Agnelli in tribuna e Conte in panchina (ancora senza voce, costretto a “sfruttare” il suo vice, Alessio) questo non succede, e Orsato fischia la fine. Ora la “decima”, per “blasfemizzare” il termine madrileno riferito alle Champions League, dista solo una partita, che vale una stella, d’argento.
Maxi Lopez esulta dopo il 2-1 rossonero.  

mercoledì 14 marzo 2012

Cuore azzurro, esperienza blues: il sogno partenopeo finisce


WHAM BAM THANK YOU BRAN ... Branislav Ivanovic celebrates his winner
Il fattore Didier colpisce ancora: dopo l’eliminazione, più o meno meritata (e prevedibile), di un’Inter sempre più nell’abisso, contro il Marsiglia di Didier Deschamps, anche il Napoli cade, sprecando così un’opportunità colossale di scrivere la storia, per mano, o meglio per testa, di Didier Drogba, campione dalle due facce, trascinatore immortale del Chelsea.
Il set point era stato ottenuto all’andata al San Paolo, vincendo 3-1 contro un Chelsea che annegava tra i problemi di AVB; 21 giorni dopo, il match point è a Stamford Bridge, a due passi dalla Lista esclusiva delle Top 8 d’Europa. Sprecato, più e più volte, spesso malamente. E’ mancato il salto finale, quello nel vuoto, dove si rischia tutto, se non di più. Al cuore azzurro, ha prevalso l’esperienza blue: la grande squadra, rivoluzionata in panchina nel frattempo (onore almeno a Di Matteo, alla terza vittoria consecutiva), è riuscita nella grande “Remuntada”, ribaltando la sonora sconfitta esterna con un ancor più roboante 4-1 casalingo. I 5mila tifosi azzurri, giunti a Londra con o senza biglietto, potranno dire “Io c’ero”, ma non potranno dire che quella è stata una delle migliori prestazioni degli 11 di Mazzarri. Allenatore che, forse condizionato dalla recente espulsione e conseguente squalifica, si è fatto sentire poco dalla panchina, e probabilmente anche questo ha inciso sul finale di partita, più molle che mai (i crampi erano d’obbligo, comunque).
Il Napoli parte forte, e i tre là davanti fanno sempre paura, specie in velocità, e creano non pochi sussulti nell’area di Cech, almeno per i primi 20 minuti. Poi, purtroppo, l’Elefante ivoriano Drogba, apre le danze con un gran gol di testa, cartellino da visita eccellente per uno dei migliori attaccanti degli ultimi decenni. Cavani spreca, Zuniga temporeggia, e il primo tempo si chiude sull’1-0 per i padroni di casa. Il rientro in campo è una doccia fredda per i partenopei: solo 3 minuti e Terry, completamente dimenticato dalla difesa azzurra,  svetta su un calcio d’angolo e insacca alle spalle di De Sanctis. Con questo risultato i Blues sarebbero qualificati. Ma quando il gioco si fa duro, i leoni si svegliano, e Inler, lo è per eccellenza. Come al Madrigal, lo svizzero controlla un gran pallone di destro lancia un siluro nella porta di Cech, che riaccende le speranze di una nazione intera. Dopo l’ingresso in campo di un Fernando Torres in grande spolvero (non ai livelli di Anfield, sia chiaro), il Chelsea riprende in mano la gara e costringe i tifosi a restare quantomeno mezz’ora in più allo stadio: Dossena tocca con la mano dopo un calcio d’angolo, Lampard non si fa pregare e trasforma il rigore del 3-1. Il fardello dei 90 minuti pesa sulla schiena di tutti i giocatori in campo, e lo spettacolo ne risente. De Sanctis perde il senno per un attimo, uscendo all’impazzata, ma per fortuna c’è Torres a doverne approfittare, che puntualmente non ci smentisce. Non sarà lui l’uomo della provvidenza. L’uomo in questione viene dall’est, e sarà ricordato per sempre come il castigatore del Napoli: dopo una gran giocata al lato dell’area di Drogba, Ivanovic trafigge De Sanctis e il cuore di tutti coloro che ci credevano. Stamford Bridge è una bolgia, bandiere bianche-blu fanno da cornice ad una serata triste per noi italiani (ovviamente, Di Matteo a parte), che si conclude nel peggiore dei modi. Oltre ad un arbitro esplicitamente impaziente di far guadagnare tempo ai Blues, un grande campione come Didier Drogba, autore di una memorabile partita, cade nel fango dell’antisportività, simulando a mo’ di Bousquets, rovinando così l’icona che egli rappresenta.
Ora la speranza tricolore resta aggrappata al solo Milan, venerdì ci sono i sorteggi, tutti a caccia di una delle 3 out-sider: Apoel Nicosia, Benfica e Marsiglia. Va fatto “mea culpa” di aver detto cat, prima di averlo in the sac. Sarà per un’altra volta, ma bisogna comunque ringraziare questa squadra per le emozioni che ha regalato, pensando col senno di poi, cosa sarebbe successo se Maggio avesse segnato il 4-1 all’andata. Maledetto Cole.
 

martedì 6 marzo 2012

"Vacanze londinesi"


Abbiati fa il miracolo su Van Persie. Afp
Che cosa c’è in comune tra Istanbul e La Coruña? Nulla, geograficamente parlando. In termini calcistici invece, queste due città evocano ricordi assai amari per i tifosi milanisti. Ad Istanbul il Milan perse una finale di Champions contro il Liverpool, dopo essere stato in vantaggio di tre reti a zero; nella città spagnola invece, dopo aver vinto 4-1 a San Siro all’andata, i rossoneri persero per 4-0 dicendo così addio alla coppa delle grandi orecchie. Non è andata così stasera, ma poco ci è mancato che a questa “particolare” lista non andasse aggiunta anche la voce <<Londra>>.
15 Febbraio 2012: Il Milan, dopo aver pescato l’Arsenal come avversaria degli ottavi di Champions League, stravince la partita di andata, imponendo ai ragazzi di Wenger un rotondo 4-0, sinonimo di “tornate in Inghilterra, questo è il nostro anno”. Così hanno fatto gli inglesi, che però, con astuto silenzio e presunta rassegnazione, hanno preparato la partita di ritorno nel migliore dei modi.
6 Marzo 2012: In perfetto stile inglese, lo stadio Emirates è pieno in occasione del ritorno degli ottavi di Champions League contro il Milan, nonostante la sonora sconfitta subita. Mezza Londra ci crede (possiamo credere che i tifosi di Chelsea e Tottenham “gufassero” contro) e, a ragione, si illude quel tanto che basta per rendere una serata indimenticabile. La fresca brezza londinese spazza via i brutti pensieri dall’armata bianco-rossa, che scende in campo armato di buona volontà e una grinta inesistente, solamente qualche settimana prima.
Subito Koscielny, 20 minuti dopo, un rinato Rosicky, e poco prima dell’intervallo Van Persie su calcio di rigore. 3-0; questo è il primo tempo, niente di più, niente di meno. Giocatori onnipresenti (Rosicky, Song..) e altri fantasmi  veri e propri (Nocerino, El Shaarawy..).
Doveva essere una “vacanza londinese”, ma bastano due tocchi di magia francese che questo dolce limbo europeo si trasforma nel peggiore degli inferni, solo che al posto delle fiamme ci sono sciarpe bianche e rosse, e al posto dei dannati, irriducibili tifosi fedeli al proprio credo. Ecco che tornano i brutti ricordi ai tifosi rossoneri, ormai assenti da troppo tempo dall’esclusiva lista di Top 8 Europea, ma al rientro in campo le parole di Allegri si fanno sentire: il Milan gioca più ordinato, buone ripartenze fruttano anche più di un match-point, tutti puntualmente sprecati, oltre all’imprescindibile ed onnipotente Ibrahimovic. Il girone dei suicidi dista solo un passo: se non ci fosse stato il miracoloso Abbiati (al quale andrebbe dedicato il Duomo) che salva un gol praticamente già fatto di Van Persie, saremmo qui a parlare dell’ennesima beffa rossonera. Invece non è così, Allegri e tutti i tifosi rossoneri nel mondo perdono parecchi chili e capelli, ma alla fine il Milan strappa un 3-0 (sì, sembra strano da dire..) che potrebbe valere una stagione. Tanto di cappello ad entrambe le squadre, “non tutto il male vien per nuocere” starà predicando Galliani..

mercoledì 29 febbraio 2012

Forse era meglio la moviola..


“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Se non la più celebre, una delle frasi più celebri della Bibbia è proprio questa, tutt’oggi salda giustiziera in parecchi casi. A cosa è dovuto questo accanimento mediatico contro Buffon, uno dei pochi superstiti dell’impresa tedesca? La pressione si è fatta sentire, lo sappiamo, durante tutta la settimana scorsa, e in particolare sabato sera, finalmente giunti al fatidico momento-clou del semestre calcistico italiano, Milan-Juventus. Caso vuole che questo sfrenato pressing emotivo su società, calciatori e arbitri abbia scatenato un domino, costruito ad hoc, destinato a non finire più, se non quando la dea bendata (che in questo caso ci vede benissimo) ci fornirà altri motivi di discussione.
 Il gol di Muntari era gol, ormai lo sanno anche i muri; alla Juve è stato negato un gol regolare, e anche questo è un dato di fatto. Il capitano (solo di fatto, il vero Capitano è sempre in panchina) bianconero ha, sfortunatamente, esposto il suo pensiero rispondendo ad una domanda in modo più che sincero: <<Se mi fossi accorto che la palla era entrata, non lo avrei detto all’arbitro>>. Una volta accesa la miccia il petardo deve scoppiare, non c’è alcuna possibilità di evitare lo scoppio: a partire dai giornalisti più opportunisti, passando per l’incarnazione anti-Juve, Zeman, arrivando a Braschi, il flambé mediatico che è scaturito ha visto Buffon mitragliato di accuse, culminate con la richiesta di revoca della fascia di capitano della Nazionale. Tuttavia, sono arrivati anche avvocati difensori: il più inatteso (e forse più religioso) è stato senza dubbio Thiago Silva, che mettendosi nei panni del portiere ha affermato che si sarebbe comportato ugualmente; il più scontato, e per così dire “necessario”, è stato Cesare Prandelli, che ha ribadito che Buffon è reo di aver parlato in maniera sincera ed onesta, in un ambiente non abbastanza maturo per delle dichiarazioni simili. A dire la verità, chi avrebbe confessato il fatto? Mexes avrebbe per caso dovuto dire a Tagliavento di aver tirato un pugno a Borriello? Perché non apprezzare quando un calciatore esemplare come Buffon parla con sincerità, e tralasciare queste discussioni inutili? Si lasci parlare il campo, che è il miglior giudice, ma magari un avanzamento tecnologico non guasterebbe…

domenica 26 febbraio 2012

Polemiche e pugni: si accende la sfida Scudetto. A S. Siro è solo 1-1


Una partita orfana di vigilie come queste mancava da tanto tempo ai bianconeri, e i media non se la sono fatta sfuggire, caricandola di una tensione forse un po’ prematura, guardando il calendario. Tuttavia, non è una partita come tutte le altre, è la Partita. Il match per il quale si aspetta una stagione intera, quella che, solitamente, innesta sul binario giusto coloro che infine vinceranno il tricolore. Tutta Italia, ha aspettato con trepidazione questo incontro, così importante da far passare l’altro big-match, Napoli-Inter, come un’altra partita qualsiasi. 
Dopo ore e ore di pre-partita, ricordi e testimonianze varie, video di gol, alcuni belli e altri fortunosi, opinioni e tensione tale da poter essere tagliata con un grissino, finalmente la Scala del Calcio presenta alla nazione intera (senza tralasciare tutti gli altri paesi collegati) i 22 attori protagonisti della serata: Conte lascia in panchina Matri, Vucinic e Pepe, schierando Borriello, Quagliarella ed Estigarribia, con un ormai solito 3-5-2, mentre Allegri punta tutto su Robinho e Pato, supportati da Emanuelson. La scena poi verrà rubata dalla terna arbitrale, ma andiamo con ordine: i primi dieci minuti lasciano poco spazio all’immaginazione, facendo prevedere il solito copione, con una Juve aggressiva in tutti i punti del campo e Milan pronto a ripartire; invece no, i rossoneri annullano i bianconeri con la loro stessa arma, l’intensità di gioco. La partita più difficile di tutta la stagione dei bianconeri inizia a dare i suoi frutti, per la gioia, parziale, di Galliani e co.: Bonucci si addormenta, sbagliando un disimpegno in mezzo al campo, e sul successivo tiro da lontano di Nocerino, devia il pallone oltre le spalle di Buffon. La Juve non è esperta di rimonte (non a caso, l’unica vittoria bianconera arrivata dopo essere passati in svantaggio, è stata quella contro il Catania) e gli undici di Conte faticano a riprendersi, tanto che rischiano e dovrebbero subire il secondo gol. Buffon prima compie un miracolo su Mexes, poi sulla ribattuta di Muntari salva il pallone, che tuttavia è già entrato in porta di almeno 20 centimetri. L’assistente Romagnoli non vede, Tagliavento si affida a lui, lasciando ripartire la Juventus in contropiede, che sfiora il gol del pareggio con un gran tiro di Estigarribia. Scoppia la polemica che ci accompagnerà per settimane e settimane. Oltre all’acuto del paraguaiano la Juventus sembra una copia della squadra Delneriana.
All’intervallo, dopo un presunto siparietto poco amichevole tra Galliani e Conte, l’allenatore bianconero si mette ai ripari, “scaricando” Estigarribia, per Pepe, e passa ad un più classico 4-3-3. Allegri fa altrettanto, e toglie dal campo il fantasma di Pato, per un sempre più promettente El Shaarawy. In campo cambia poco, se non che il faraoncino incide di più di quello che è un Pato sempre più perduto, tra infortuni muscolari e figlie di presidenti. Intanto entra in campo anche Vucinic, al posto di Borriello, con lo scopo di illuminare e accendere la squadra: bocciato. Per suonare la carica ai bianconeri ci vuole la personificazione della grinta, di colui che non è mai disposto a mollare mai, Giorgio Chiellini. Il terzino sinistro livornese serve un cross perfetto per Quagliarella, in procinto di uscire dal campo per far posto a Matri, che da un metro di distanza spara il pallone su Abbiati. Non sarà lui il salvatore della patria, ma i tifosi bianconeri possono tranquillizzarsi, quando vedono entrare Matri, caricato di rabbia ed energia accumulate nei 70 minuti di panchina. Prima riesce a segnare, ma l’assistente di Tagliavento (sempre lui, sempre Romagnoli) gli nega la gioia del decimo gol stagionale per un inesistente fuorigioco. L’attaccante non si da per vinto, e quando vede arrivare un cross invitante di Pepe, benché marcato stretto da Thiago Silva, non ci pensa due volte e calcia al volo: è il gol che potrebbe valere stagione, e come lui stesso ha affermato, è il più importante della sua carriera. Il Milan allora capisce che non è il momento di accontentarsi, ed entrambe le squadre si sfidano in battaglia come se fossero Sparta e Atene. Volano pugni e colpi bassi, entrate da macellaio che costano il rosso a Vidal e il giallo a Pepe (entrambi salteranno la prossima sfida, con il Chievo), e la tensione non scende neanche quando l’arbitro fischia la fine di un match che passerà alla storia più per gli errori arbitrali che per il risultato. I rapporti tra le due squadre resteranno incrinati ancora per un bel po’, speriamo che la sfida scudetto resti altrettanto equilibrata. Forse un po’ di tecnologia in più sarebbe necessaria, o basterebbero anche due assistenti di porta; quel che è stato è stato, lasciamo le polemiche agli altri e godiamoci lo spettacolo che dovrebbe essere il calcio.

mercoledì 22 febbraio 2012

Vedi Napoli e poi muori..



Le origini simili, il passaporto comune e la barba incolta simili a Mourinho gli sono costati il nome pesante di erede dello Special One, niente meno che “Special Two”. L’uomo, cresciuto sotto gli insegnamenti di Robson, conosciuto in qualità di semplice vicino di casa, ha passato una quindicina d’anni al fianco dell’attuale allenatore del Real Madrid, prima a Barcellona (di cui poi Mourinho diventerà acerrimo nemico), poi al Porto, dove vincono insieme la seconda Champions League della storia del club, successivamente al Chelsea, alla corte di Abramovic e infine all’Inter di Moratti. Proprio durante quest’ultima esperienza, abbandona il proprio mentore per accettare l’offerta propostagli dall’Académica, ultima in classifica della Primeira Liga, riuscendo a fine anno a salvare la squadra, posizionandosi all’undicesimo posto. Questa vetrina gli regala l‘ingaggio da parte del Porto, con il quale vince tutto il vincibile, marcando le orme proprio di Mourinho. Alla fine dell’anno scorso sceglie la via della gloria, quella che porta, non sempre tuttavia, agli dèi dell’Olimpo. Ricercato da mezza Europa (compresa l’Inter), accoglie la proposta del Chelsea, disposto a pagare la clausola rescissoria. Sembra la definitiva consacrazione, ma non è che l’inizio di quella che sembra una fine molto ravvicinata. Con una stagione molto al di sotto delle aspettative in Premier League, coronata con il momentaneo quinto posto, eliminato dalla Coppa di Lega, la carriera dell’allenatore portoghese sulla panchina del Chelsea sembra destinata a finire, a maggior ragione dopo l’improbabile risultato di ieri sera: una sconfitta per 3-1 al San Paolo contro il Napoli, maturato sì per merito dei padroni di casa, ma anche, e soprattutto per l’insufficiente tatticismo adottato dal tecnico. L’ormai scontata eliminazione dalla Champions League, (a Stamford Bridge sarà comunque difficile per i Partenopei) fa comparire su Villas Boas il fantasma di Mourinho e all’orizzonte c’è già chi prevede un arrivo di Benitez (anche lui colpito ai tempi nerazzurri dagli spettri dello Special One). I tifosi del Chelsea (e anche dell’Inter) intonano già da settimane il nome dell’ex-allenatore; Villas Boas continuerà ad essere lo Special Two, o era semplicemente l’illusione di quella che poteva essere una carriera straordinaria?

martedì 21 febbraio 2012

'O Matador 'nnamurato: il Napoli stende il Chelsea 3-1 e continua il sogno Europeo





Italia 2, Inghilterra 0. Dopo questa sera la Football Association si dovrà porre qualche domanda, considerando che dopo la prematura eliminazione delle due squadre di Manchester, la scoppola presa dall’Arsenal in casa del Milan, anche il Chelsea, arrivato al San Paolo speranzoso di potersi riscattare, torna a Londra con un sonoro 3-1, firmato Cavani e Lavezzi. Poco importa se sulla panchina partenopea sedesse Frustalupi e non Mazzarri, squalificato: il Napoli ha giocato la partita, se non la più importante una delle più importanti della sua storia, in maniera esemplare, soffrendo, regalando un gol al Chelsea, ma mostrando il coraggio e la determinazione di portare a casa un risultato che va quasi stretto, considerando che lo scarto poteva essere maggiore.
Le squadre inglesi e gli ottavi di Champions League non hanno portato bene alle italiane negli ultimi anni, ma la rotta si è invertita e la partita di oggi ne è la prova.  In attesa di scoprire il risultato di Marsiglia-Inter ci possiamo già sentire con più di un piede ai quarti di finale, ma guai a dire “cat” (per dirla alla Trapattoniana), riportando alla mente la storica “remuntada” del Deportivo la Coruña ai danni del Milan.
Sarà stato l’effetto San Paolo, l’aria di Champions, o Frustalupi in panchina, fatto sta che il Napoli compie l’ennesima meraviglia europea grazie al risveglio dal letargo del Matador Cavani e del Pocho Lavezzi. E pensare che i padroni di casa erano andati in svantaggio a metà del primo tempo, quando un rimbalzo fasullo inganna Cannavaro, che lascia a Mata tutto il tempo di segnare la prima rete del match. Purtroppo prima della rete, due interventi prodigiosi di Cech (di cui uno in spaccata degna di una ballerina), portiere dato ormai per finito, avevano negato la gioia del gol ai partenopei. Lo stadio e i giocatori sembrano accusare il colpo, e ammutoliti assaporano quella che sembra la fine di un’illusione che dura ormai da mesi. Fortunatamente nell’11 titolare è presente un giocatore che meriterebbe di ricevere in eredità il 10 di Maradona. Questo giocatore si chiama Lavezzi, e sta diventando sempre più trascinatore di questa squadra infinita. Proprio lui decide, dieci minuti dopo il gol subito, di far suonare la sveglia e dare la carica ai suoi: non aveva mai segnato in Champions League, e aveva promesso al figlio di farlo proprio questa sera. E siccome un papà mantiene sempre le promesse, quando gli si presenta davanti l’occasione il Pocho non sbaglia: tiro da fuori area che si insacca alle spalle di Cech. Il boato del San Paolo è assordante, ma il bello deve ancora venire. Dopo aver rischiato di passare di nuovo in svantaggio, proprio allo scadere della prima frazione di gioco Inler confeziona un cross al bacio per Cavani, che insaccando il pallone con un pregevolissimo colpo di spalla, avrà fatto piangere di gioia Mazzarri, rimasto a Castelvolturno. Il Matador va sotto la curva ad esultare; gli si legge negli occhi l’amore che prova per tutti quei 50mila tifosi venuti a vederlo, e vorrebbe abbracciarli tutti come se fossero dei fratelli.

Ezequiel Lavezzi, doppietta pesante. Afp

Potremmo già ritenerci soddisfatti di quanto visto, ma il cronometro ci ricorda che siamo solo a metà. E allora pronti, via, dopo soli dieci minuti la prima grossa emozione: il Pocho si maledice, quando solo davanti a Cech, mostra il limite del suo bagaglio tecnico infinito, ovvero il piede sinistro, che lo condanna a calciare il pallone fuori alla sinistra del portiere. L’argentino non demorde, e dopo altri dieci minuti decide che deve offrire una cena a Cavani, che, saltato David Luiz con Cech fuori dai pali, gli serve un pallone delizioso impossibile da sbagliare. E’ l’apoteosi partenopea, che potrebbe dilagare con Maggio, il quale però si vede salvare da Ashley Cole sulla linea un gol praticamente già fatto. Nessuno, o forse pochi, avrebbero scommesso su questo risultato prima della partita; incredibilmente dopo di essa, ci va anche stretto. Poco importa, le scosse di terremoto di saranno sentite lo stesso a Fuorigrotta e dintorni.
Il Chelsea perde, pur non demeritando, restando con due soli superstiti in campo: Juan Mata, che diventerà sempre più, di quanto già non è, pilastro di questa squadra, e Didier Drogba, che nonostante l’età, si danna per 90°, purtroppo per lui senza trovare la porta. Il sogno azzurro continua, accompagnato dalla scena più bella ed emozionante alla quale un tifoso di calcio potrà assistere: il San Paolo intona per oltre dieci minuti l’inno di battaglia, ‘O surdato ‘nnamurato, ringraziando i suoi 11 eroi che ogni volta regalano emozioni indimenticabili.


domenica 19 febbraio 2012

La Juve prende la medicina e torna a vincere: 3-1 al Catania


JUVENTUS-CATANIA 3-1 -  Ma, dopo pochi minuti, Andrea  Pirlo firma il pari (Ap)
Lo Juventus Stadium come un tempio, il cui poter magico semprava poter essere sfatato. L’urlo dei 40mila bianconeri si strozza improvvisamente al 4’ minuto, quando il “Lavezzi mancato”, Barrientos, imita Caracciolo in occasione del gol contro l’Inter, e trafigge Buffon con un tiro a giro. Sembra uno specchio che si rompe, un sogno infranto; lo spettro dei due anni passati è vigile sui milioni di tifosi bianconeri. Izco e compagni si gonfiano d’orgoglio e credono di poter essere i primi della storia ad espugnare il nuovo stadio bianconero, ma la Juve ha nelle sue trafile il “Napoleone Bonaparte”della situazione, il condottiero che illumina il sentiero: Andrea Pirlo, passato da essere scarto del Milan, a faro della Juventus. E’ proprio il bresciano a riaccendere gli animi dei suoi compagni quando al 22’ segna (finalmente) su punizioneil primo gol in bianconero, che tardava ad arrivare.
In avanti Conte aveva schierato Quagliarella e Borriello, bocciando così gli ex-titolari Matri e Vucinic. Il napoletano è apparso in forma strepitosa,forse  leggermente egoista, ma, giocando in maniera molto esuberante, sfiora il colpo del 2-1, colpendo la traversa dai 20 metri. A lui risponde quasi immediatamente Bergessio, che brucia in velocità Bonucci, ma anche lui colpisce la traversa. La Juventus alza il ritmo, ma non riesce ad incidere fino a quando, a metà del secondo tempo,l’ex giocatore Motta diventa per la prima volta decisivo per i bianconeri: stende De Ceglie in maniera tutt’altro che gentile e si becca così il secondo giallo, il che significa Catania in dieci e Juve che ingrana la quinta. Nonostante ciò, per evitare il secondo svantaggio ai bianconeri, ci vuole un provvidenziale miracolo di Buffon, che salva il risultato su Almiron. Tuttavia a partita la cambia ancora Pirlo (che nel frattempo aveva scheggiato la traversa), sfornando un assist per Chiellini, che segna il suo secondo gol in campionato, rivendicando il palo colpito mercoledì a Parma. Come minimo Conte deve fare un elogio a Kosicky, che in occasione del primo gol posiziona malissimo la barriera, e poi esce a vuoto prima del colpo di testa di Chiellini. La partita sempra innestata sui binari giusti per Buffon e compagni, ma manca la ciliegina finale, che confeziona ancora il nemico-amico Kosicky, sbagliando un rinvio, intercettato da Pirlo che serve a Quagliarella, che trafigge il portiere catanese. Nei festeggiamenti intorno alla bandierina interviene Storari, che riesce (involontariamente e contemporaneamente) a dare uno schiaffo a Bonucci, procurare un taglio al naso a Pepe, e a dare una botta in testa all’autore del gol, che prontamente lo allontana. Lo screzio finisce lì, la Juve deve avere in un gruppo granitico la sua forza, e finalmente ha ritrovato il gol, la medicina migliore per qualunque scquadra. Unico neo della serata la prova deludente di Padoin in un improbabile posizione di esterno destro. Tra una settimana c’è lo scontro diretto Milan-Juventus, la partita che vale una stagione. Forse si giocherà con Ibrahimovic, forse si giocherà senza, ma una cosa è certa: la Juve sputerà sangue per portare a casa tre punti, che in Corso Ferraris aspettano da troppo tempo.
 

lunedì 13 febbraio 2012

La Cenerentola d'Africa, lo Zambia è campione


Zambia's captain Christopher Katongo kisses the trophy after winning the 2012 African Cup of Nations tournament's final match against Ivory Coast in Libreville
Davide contro Golia, Zambia contro Costa d’Avorio. Come spesso accade nei momenti decisivi della Coppa d’Africa la situazione si è risolta ai rigori, e la maledizione inflitta agli “Elefanti”, anni or sono, continua, in particolare al capitano e trascinatore, Drogba. L’impavida lotteria ha finalmente premiato coloro che erano arrivati già due volte a pochi passi dal traguardo, ma inciampati sempre sul più bello. Ma andiamo con ordine.
In una competizione orfana delle grandi nomee, quali Egitto (detentore del record di vittorie), Camerun, Sudafrica e Nigeria, il livello tecnico alquanto modesto ha fruttato una finalista scontata, la Costa d’Avorio, che in semifinale aveva battuto il Mali di Keita, e una finalista “cenerentola”, lo Zambia, squadra guidata da un coraggioso 43enne francese di nome Hervé Reanard, che presenta solo nomi sconosciuti, a noi campanilisti europei. Questi ultimi avevano superato ogni aspettativa, battendo in semifinale il Ghana, memore dell’avventura in Sudafrica due anni fa, e quindi fiducioso di arrivare all’ultimo gradino. Tanto per capirci, prima del torneo, nei punti scommesse lo Zambia non figurava nemmeno tra i possibili vincitori.
La partita, giocata a Libreville davanti agli occhi di Blatter, si presentava con un copione già scritto: Costa d’Avorio, piena di campioni dagli stipendi prossimi al PIL nazionale, che asfalta lo Zambia, squadra i cui investimenti fatti dal governo sono inferiori a quelli di una squadra militante nella nostra Lega Pro. Fortunatamente ci sono attori che il canovaccio lo prendono e lo buttano nel cestino, e questi indossano la maglia verde. Per la prima mezz’ora è lo Zambia a fare gioco, chiudendo tutti gli spazzi e evitando di far ragionare gli avversari, che sì,cercano di riprendersi, ma imbattono nell’individualismo di Gervinho e nell ‘anonimato di Drogba.
Ai calci di rigore, vincono per 8-7 i giocatori di Herve Renard - 3
Nella ripresa, esce il fantasma di Kalou ed entra Gradel, e la Costa d’Avorio sfiora il gol quando su assist di tacco di Drogba, il pallone d’oro africano Yayà Tourè calcia il pallone che esce per questione di centimetri. Tuttavia l’entusiasmo dello Zambia sembra prevalere, fino a quando Chansa non frana su Gervinho, obbligando così l’arbitro a fischiare la massima punizione. Fortunatamente per la squadra capitanata da Katongo, sul dischetto si presenta Drogba, che con la maglia della sua nazionale, nei momenti topici non ha molto feeling con il pallone. Dopo aver sbagliato anni fa in finale contro l’Egitto un rigore decisivo, e un altro in questa competizione, anche in questa occasione si fa ipnotizzare da Mweene, calciando così il pallone in tribuna. Il portiere in maglia gialla esulta in faccia al giocatore del Chelsea in stile Eddie Guerrero e cerca di dargli la mano; prontamente Drogba si scansa e accusa la zolla del campo per l’errore. In una finale avara di momenti veramente emozionanti, si passa così ai supplementari, dove solo lo Zambia sembra essere ancora in vita, e colpisce il palo con Katongo dopo una bellissima azione sulla destra.
La sonnolenza di gioco porta così agli inevitabili calci di rigori, un “must” della maggiore competizione africana, come la Costa d’Avorio ben sa. I rigoristi sono tutti baciati dalla dea bendata, soprattutto Bamba, al quale, dopo essersi visto parare il rigore da Mweene, viene concesso di ribattere il calcio di rigore, poi trasformato. Lo stesso Mweene, in perfetto stile Butt (ex-portiere del Bayern Monaco), si presenta sul dischetto e realizza il quinto rigore della sua squadra. Per assistere al primo e vero errore bisogna attendere il 15° rigore, quando Kolò Toure, propostosi al posto di Gervinho, non in vena di tirarlo, si fa parare un rigore calciato malissimo. Tutti i giocatori dello Zambia sono in ginocchio, cantanti e preganti, ma colui che poteva divenire il giocatore-copertina di un intero paese, Kalaba, spara alto, facendo così continuare la serie infinita di calci. Finalmente sul dischetto si presenta il giocatore dell’Arsenal, Gervinho: se non voleva calciare il rigore c’era un sicuramente un motivo, perché anche lui sbaglia clamorosamente calciando alle stelle. Si presenta così il Fabio Grosso di colore, Stoppila Sunzu. Nei suoi occhi si legge la stessa tensione e emozione del terzino della Juventus, solo che lui calcia di destro. Il rigore si insacca alle spalle di Copa e la Zambia può finalmente gioire. Un paese mitragliato dalla sfortuna e dalla povertà, stacca la spina per una sera dai problemi quotidiani e ringrazia i suoi eroi. Finalmente possono sollevare la coppa, che vale per loro una carriera, e cantare fino a tarda notte, come solo gli africani sanno fare. 

sabato 11 febbraio 2012

Il sogno, infranto, del rugby..

Qual è il colmo per degli inglesi? Venire a giocare a Roma, e trovarsi in mezzo alla neve. Così è stata accolta la nazionale inglese di rugby, in un candore romanesco che non si vedeva da tanto tempo, destinata a lottare contro gli azzurri di Brunel tra le mura di uno stadio Olimpico incredibilmente (quasi) pieno, nonostante il “blizzard” che aveva colpito l’Italia durante la mattinata. Saranno stati tutti questi fattori, un po’ fuori dal normale, a regalare ad una nazione intera 49 minuti di pura follia e soprattutto utopia: battere l’Inghilterra non sembrava più così impossibile, dopo che, in svantaggio per 6-0 e orfani di Castrogiovanni uscito per infortunio, gli azzurri ci hanno messo la grinta e il cuore per ribaltare il risultato. Una meta di Venditti, che sfrutta un brutto controllo di Foden permette l’Italia di arrivare a un solo punto di distanza (in quanto Burton non trasforma); sempre lo stesso Foden poi rischia seriamente di compromettere la sua reputazione, quando sbagliando un passaggio a metà campo, regala a Benvenuti il pallone del vantaggio, e del sogno italiano. Il boato dell’Olimpico è qualcosa di incredibile, e la gioia di tutti i pub in cui i tifosi erano riuniti a guardare la partita, vale molto più di qualunque vittoria. Al termine della prima frazione, il tabellone di casa, recita Italia 12, Inghilterra 6. Il sogno continua, ahinoi, solo 9 minuti. L’Italia ormai la conosciamo: cambia l’allenatore, ma la mentalità resta quella di squadra “piccola”, che fatica a mantenere un vantaggio, che in momenti come questi, vale oro. Masi, passando dalle stella alle stalle (eroe contro la Francia l’anno scorso), calcia dai 22 facendosi intercettare il pallone da Hodgson, che ripete la scena della meta realizzata contro la Scozia una settimana fa. Questo è il punto di non ritorno, in quanto in vantaggio ancora di due punti, concediamo troppi spazi regalando ben due punizioni che ci costano uno svantaggio di ben 4 punti, che rendono così obbligatoria la ricerca della meta. All'Italia manca il calciatore che risolva le situazioni complicate, il Wilkinson di turno, per capirci. Dieci minuti che sanno di beffa, di ingiustizia, ma anche di cruda realtà. L’Italia regala emozioni e speranze fino all’80’, quando un errore di Semenzato vanifica tutti gli sforzi dell’ultimo quarto d’ora. Onore ai vincitori, ma soprattutto ai vinti; l’Irlanda è avvisata, questa Italia non ha nulla da perdere.

giovedì 9 febbraio 2012

La storia infinita del "Pelado"


Se ti dicessero che un difensore uruguaiano, ha esordito per ben due volte con la maglia della Juventus, e in entrambe le partite ha fatto un gol, faresti fatica a crederci. Invece questa è la vera storia di Martin Caceres, soprannominato “El Pelado”, che di mestiere fa il terzino destro, sinistro ed il difensore centrale: arrivato alla Juventus nel 2009, l’anno che poteva sancire la rinascita bianconera, andata malamente in fumo, fu buttato nella mischia da Ciro Ferrara il 12 settembre allo Stadio Olimpico contro la Lazio. Esordio in maglia bianconera da incorniciare: gol e vittoria per 2-0. Non è da tutti i giorni arrivare in Italia e segnare al debutto. Ciò nonostante l’annata, come tutti ben sappiamo, fu tragica per tutti, compreso lui. Una pubalgia lo costrinse a stare fuori molti mesi e in estate il neo-dirigente Marotta non decise di riscattarlo per 12 milioni.
Dopo una parentesi ricca di soddisfazioni al Siviglia, dove venne acquistato per soli 4,5 milioni, la Juve si decide di nuovo a puntare sulla spola uruguagia, prendendolo in prestito nella sessione di mercato invernale del 2012: costo totale dell’operazione, tra prestito e riscatto, 9,5 milioni. Un investimento importante e un po’ azzardato, a detta di molti. Ma “El Pelado” è nato per zittire sul nascere tutte queste dicerie, e risponde più che presente quando Conte lo convoca per la prima volta. Non si tratta di una partita di poco valore, bensì della semifinale di andata della Coppa Italia (a.k.a. Tim Cup), nientemeno che alla “Scala” del calcio, San Siro, contro il Milan, secondo in classifica in campionato. E’ in questa partita che si presenta agli increduli occhi dei tifosi bianconeri il bomber che non ti aspetti: all’inizio del secondo tempo su parata di Amelia dopo un diagonale di Borriello, si presenta proprio lui, e la butta dentro. La Juve intanto, dopo il vantaggio, ha subito il pareggio, ma Conte la vuole vincere a tutti i costi. A questo punto avviene la magia, la stella cadente in cielo coperto dalle nuvole estive:  dopo un cross di Giaccherini la palla, ribattuta, termina sui piedi di Caceres al limite dell’area. C’è lo spazio, e il tempo; sapevamo tutti quello che stava per succedere, ma nessuno ci credeva veramente. Potrà un terzino fare un gol da trequartista puro, facendo un pallonetto al portiere? L’unico che ci ha creduto è stato lui apparentemente. La palla scavalca Amelia e si infila sotto l’incrocio dei pali. Sarà il gol che permette alla Juve di espugnare San Siro, e avere già mezza qualificazione in tasca. Sia lui che Lichsteiner hanno segnato all’esordio, forse porta bene essere terzini destri nella nuova Juve targata Conte.

domenica 5 febbraio 2012

Altro che calcio-spezzatino..

Fabio Borini, 20 anni, doppeitta contro l'Inter. Ansa

Sapore di Amarcord per tutti i nostalgici della “Domenica pomeriggio”: tutte le partite alle 15,compresi due big match, ad eccezione di Genoa-Lazio, giocata alle 12 e 30 (e Cesena-Catania, rinviata). La capolista Juventus spreca un set-point che poteva seriamente compromettere le speranze tricolori del Milan, grazie al pareggio del Napoli in casa dei rossoneri e della sconfitta dell’Udinese al Franchi di Firenze. Sarà stato il gelo che quest’oggi ha avuto effetto contrario rispetto al turno infrasettimanale, ma in un pomeriggio le cui anticipazioni prevedevano tutt’altro che noia, abbiamo visto ben quattro 0-0 e troppi cartellini rossi.
La corona della domenica va assegnata senza dubbio al Siena, in versione Oscar della salvezza, che mette sul campo il lavoro meticoloso di Sannino: chiusura in difesa come un riccio arroccato nel suo rivestimento, i cui aculei sono formati da Destro e Calaiò prima, Reginaldo e Gonzalez poi, che mettono in serio rischio l’imbattibilità bianconera. Tuttavia una vittoria azzurra (oggi il Siena indossava la seconda casacca) avrebbe avuto il sapore amaro di beffa per una Juventus che ha premuto sull’acceleratore fino al 94’, rischiando di fare un testa-coda quando Gazzi ha sparato di poco a lato al 42’, subito dopo che era stato negato un rigore alquanto evidente a Buffon e compagni. Pegolo ha fatto il vigile, gettando il malocchio sulla sua porta, stregata per tutti, da Lichsteiner a Borriello. Conte non avrà preso bene questo pareggio, seppur avendo giocato con grande intensità, sapendo che il Milan in casa con il Napoli ha copiato il risultato di Torino, chiudendo la partita in dieci, per l’espulsione di Ibrahimovic (che ora rischia di essere squalificato per 3 giornate, tra le quali vi è Milan-Juventus), da aggiungersi a quella di Allegri. Il Napoli non ha rischiato abbastanza da portare a casa i tre punti, buttando così un’altra occasione per cercare di riagguantare per lo meno la zona Europa League. Come se non bastasse, anche l’Udinese, terzo in comodo della vetta, è inciampata nella rinascita della Fiorentina, che trascinata dal mattatore Jovetic, ha battuto per 3-2 i Friulani.
 Il secondo big match della giornata, vedeva sfidarsi Roma e Inter, ma è stato piuttosto un allenamento domenicale quello a cui hanno assistito i (pochi) tifosi  giallorossi, mandati in delirio dal nuovo idolo di casa, Borini, autore di una pregevole doppietta, incorniciata da un gol di Juan in apertura, e uno di Bojan nel finale. 4-0 e la Roma torna a sperare, l’Inter a disperare. I giallorossi presentano un difetto caratteriale bizzarro, passando da prestazioni scialbe come quella di Cagliari, ad esibizioni di calcio giocato stupefacenti, come in questa occasione, l’Inter invece dimostra limiti sempre più evidenti, nonostante le numerose assenze, incassando il decimo gol in sole tre partite.
Alessandro Matri. LaPresse
Non dista molto dalla zona europa il Palermo, che trascinato dall’insostituibile Miccoli e dal rinato Budan vincono contro l’Atalanta, rimasta in dieci per l’espulsione di Consigli. Il Parma ritrova finalmente Giovinco tornato al gol (e che gol), a un solo gol dalla doppia cifra, e batte il Chievo ringraziando Luciano, autore di un’ingenuissima autorete. Le partite di Lecce e di Novara, avare di gol, non regalano molte emozioni, se non qualche acuto di Caracciolo e di Muriel.
 Nell’anticipo dell’ora di pranzo, il Genoa ridimensiona la Lazio, arrivata a Marassi galvanizzata dalla vittoria contro il Milan, e grazie alla doppietta di Jankovic e al gol di Palacio, evita la rimonta celesta, portando così a casa una vittoria importante per 3-2.
Ci sarà la coppa Italia di mezzo, ma da domenica si torna al campionato, con la Juve in pole position, come finirà? 
L'arbitro Rizzoli manda Zlatan Ibrahimovic fuori dal campo, dopo lo schiaffo ad Aronica. Reuters

mercoledì 1 febbraio 2012

Nevicata di gol e spettacolo, nonostante 4 rinvii


Se la neve ci ha impedito di guardare ben 4 partite in programma, quelle giocate quest’oggi hanno pienamente compensato la mancanza, regalandoci gol (19 in 5 partite) e spettacolo.
Diego Milito, poker al Palermo. AnsaLa notizia che più salta all’occhio guardando la classifica è che la Juventus, unica “big” a non scendere in campo, mantiene salda la vetta, favorita dal mancato sorpasso dei rossoneri, poiché sconfitti per 2-0 all’Olimpico da una Lazio più rivoltata che mai, orfana del Kaiser Klose, che sfata incredibilmente il tabù Milan, dopo 14 anni di malocchio. In questo modo la squadra di Reja sveglia il campionato, manda un sms al podio momentaneo, Juve, Milan e Udinese, dicendo: <<Guardate che ci sono anch’io!>> e staccando l’Inter al 4° posto, fermata nella più incredibile delle partite: sotto, e anche sopra, date le condizioni di San Siro, la neve, Milito e Miccoli si rigenerano completamente, 4 gol per l’argentino, 3 gol per l’italiano, ma tra i due litiganti si intromette Mantovani, che con la sua rete (a dire il vero, la prima della gara) stabilisce un 4-4 che funge da spot per il calcio e per le mille emozioni che può regalare, ma anche da freno per quella che si può considerare, la rincorsa nerazzurra allo scudetto. Pare assurdo pensare che quando un giocatore mette a segno un poker, non riesce a regalare alla squadra la vittoria, e che una squadra, il Palermo, che nell’arco di un girone ha segnato solo due gol in trasferta, non appena riesce anch’essa a segnarne quattro, torni a casa con un solo punto. Tra l’altro, uno dei due gol segnati all’andata, era un autogol.
Autogol che ha deciso di farsi la Roma, auto-punendosi al Sant’Elia (a cosa serve fare lo stadio nuovo se non ci va nemmeno un tifoso?) regalando disattenzioni difensive degne dei più nostalgici “Zemaniani”, e altrettanti errori in fase realizzativa, senza riuscire a segnare in 45 minuti d’assedio, concedendo anche il gol del 4-2 negli ultimi minuti, merito dello splendido lavoro di Ibarbo, sempre più centometrista.
L’Udinese pare aver cosparso di polvere magica lo stadio del Friuli, dove ha vinto e vince sempre, tranne in occasione della partita con la Juve. Ha un che di fantascienza la storia di Michele Pazienza, tornato all’Udinese, e dopo neanche 2 minuti sigla la sua prima rete in bianconero. Dall’altro canto, il Napoli pare non aver ripassato, il Cesena lo interroga, ed ecco l’ennesimo pareggio; viziato sì, da errori arbitrali, ma fatto sta che i partenopei non riescono più a vincere, e ora la vetta dista ben 14 punti, con la Juventus che ha una partita in meno. Domani, tempo permettendo, sotto con Novara-Chievo, in attesa di questi quattro recuperi, che più di tanto non ci hanno fatto disperare..
Walter Mazzarri in camicia. Ansa

sabato 28 gennaio 2012

Cornice biancorosa: sotto la neve la Juve batte l'Udinese 2-1


Non delude, anche sotto la neve (la prima dell’anno), una Juve sempre più leader della classifica della serie A, battendo 2-1 la scuola-calcio-spettacolo Udinese. Tutti i tifosi accorsi allo Juventus Stadium a godersi lo spettacolo avranno pensato di essere stati teletrasportati in un altro campionato, prendiamo Bundes e Premier a caso, dove, nonostante una neve incessante dal primo pomeriggio, il manto erboso era in condizioni ottimali per giocare uno scontro diretto dalla posta morale ben più alta dei soliti “3 punti”. Assenze da entrambe le parti hanno segnato la partita, che comunque non delude le aspettative, regalando una partita molto più emozionante della partita giocata poco più di un mese fa al Friuli di Udine. La Juve, anche stasera in tenuta rosa (e ci sarà un motivo se la indossano: all’attivo 6 vittorie e 1 pareggio, sempre con l’Udinese), gioca come all’andata schierandosi in modo speculare all’avversario, ovvero difesa a 3 e centrocampo a 5, con Estigarribia e Lichsteiner esterni a fare da spola tra fase difensiva e offensiva. Marchisio e Pepe si accomodano in una panchina non affatto bollente, data la temperatura della serata, pronti a dare un sostanzioso contributo a partita in corso. Guidolin risponde schierando Abdi a supporto dell’infinito Totò Di Natale, con Fernandes, Armero, Isla, Pasquale e Basta a centrocampo.
E pensare che il reparto dove la Juve è più fornita, l’attacco, aveva cominciato fin dal 2’ minuto a fare cilecca, prima con Estigarribia, poi con Matri: il primo, bisogna dirlo, purtroppo, si ritrova troppo spesso davanti al portiere, e a maggior quando si tratta del piede destro che non è il suo, la porta non la vede proprio; il secondo sembra affondare sempre di più nella fase in cui ogni controllo è sbagliato per questione di centimetri, soprattutto quando gioca in casa, e la porta avversaria appare stregata. La maledizione viene cancellata, dopo che Buffon, più di Handanovic, avevano salvato il risultato con due parate miracolose, quando Estigarribia mette in mezzo un pallone deviato da Quagliarella, che però viene intercettato dal portiere sloveno, sulla cui ribattuta arriva come un falco Matri, che segna il suo ottavo gol stagionale. Non sono numeri da capogiro per l’attaccante-boa della prima in classifica, considerando che il suo diretto avversario in questione, Di Natale, ne ha siglati 14. Ormai che la partita è sbloccata, Guidolin non può più temporeggiare, come aveva fatto nel primo tempo, e manda in campo Floro Flores, che quando vede Juve, vede bene (in un Juve-Genoa dell’anno scorso, Floro Flores segnò un gran gol). Non a caso è proprio l’attaccante napoltano a concretizzare un contropiede da manuale del calcio, nato da un errore in mezzo al campo, tanto grossolano quanto disastroso, di Vidal, sancendo così il momentaneo pareggio. Lo Juventus Stadium si ammutolisce, non proprio a causa del freddo, temendo anche di poter perdere la prima partita in casa; ma in questi casi il Mago Conte, (<<Non sono mica Harry Potter, che faccio le magie>>.) tira fuori il coniglio dal cappello azzeccando l’ennesima sostituzione, dopo quelle di Bergamo. L’allenatore salentino si inventa Marchisio seconda punta, al posto di un Quagliarella dinamico ma impreciso sotto porta: passano 30 secondi, e su un pallone schizzato in aria il centrocampista appena entrato, apparso un po’ sotto-tono nelle ultime giornate, mette l’esterno destro spedendo la sfera dritta sui piedi di Matri, che questa volta con un diagonale preciso non perdona, e regala il diciottesimo sorriso ai tifosi bianconeri (juventini, da sottolineare) da quando Marotta decise di investire 18 milioni su di lui, proprio un anno fa. E’ questo il gol che regala la vittoria ai bianconeri, e se domani il Cagliari di Nainggolan, obiettivo della dirigenza di Corso Ferraris, dovesse fare il colpaccio a San Siro, questa serata dipinta di bianco, potrebbe veramente essere l’inizio di una fuga, che a Torino, non si vede da troppo tempo.

mercoledì 25 gennaio 2012

2-2 al Camp Nou: Barcellona in semifinale di Copa del Rey


Se Mourinho ci stupisce, schierando Kakà dal primo minuto, non è da meno il Real Madrid stesso, che gioca una grande partita al Camp Nou, ma subisce lo stesso l’eliminazione dalla Copa del Rey, in un Clasico che ha rispecchiato in tutto e per tutto le sfide precedenti alle quali eravamo stati abituati.
Come spesso accade nei primi minuti di partita, uno svarione difensivo da parte di Piquè lascia a Higuain la possibilità di calciare, maldestramente, fuori dallo specchio difeso da Pinto, e i primi 30 minuti sono quasi esclusiva mene di dominio Blanco: gli undici di Mourinho tengono un pressing alto e un ritmo altrettanto veloce, che manda in confusione la difesa blaugrana, oggi apparsa più che fuori forma. Il migliore del Real, Ozil, riesce a battere Pinto, che come siamo abituati a vedere, a ogni pallone toccato sembra un ragazzino dalle gambe tremolanti all’esordio, e solo la traversa gli nega la gioia del gol. Il Real continua ad attaccare, ma quando meno te lo aspetti, salta fuori l’emblema del Barcellona, il giocatore più forte del mondo, Lionel Messi. La Pulce si ritrova in mezzo al campo con una corsia libera per arrivare in area; continuamente palla al piede, viene chiuso dai quattro difensori, compreso Arbeloa che si stacca dalla sua posizione e lascia libero Pedro. Messi di esterno sinistro si inventa il passaggio per Pedro che solo davanti a Casillas non può sbagliare. Siamo al 43’, e la partita sembra già conclusa. Se vogliamo aggiungerci anche che al 47’ l’arbitro grazia Diarra, che meriterebbe il rosso, e da questa punizione nasce il raddoppio, firmato Dani Alves, con un missile dal limite dell’area proprio sotto l’incrocio, possiamo già immaginarci i tifosi madrileni all’uscita dello stadio, direzione casa.
Tuttavia al ritorno in campo delle squadre il Real continua con ad attaccare con la stessa determinazione che aveva caratterizzato la prima frazione di gioco e riesce a riaprire la partita. Quattro minuti prima del gol di Ronaldo del 2-1 al 68’, Sergio Ramos aveva segnato di testa, ma l’arbitro aveva annullato per un dubbio fallo ai danni di Dani Alves. Quando il portoghese riesce finalmente a segnare il suo secondo gol in carriera al Barcellona, le speranze sono ancora poche, e così ci pensa Benzema a riaccendere l’animo di tutti i tifosi del Real Madrid. Con un sombrero a scavalcare Puyol, che poi scivola a terra, è un gioco da ragazzi per un attaccante come lui buttarla dentro. A questo punto il mito della “Remuntada” cambia sponda, e diventa il sogno Blanco, che però non si avvera. Dopo qualche minuto di paura, il Barcellona continua a difendersi bene, fino al 90’, quando nel giro di pochi minuti vengono espulsi sia Sergio Ramos che Pepe, entrambi per somma di ammonizioni e i padroni volano in semifinale. Che sia Liga, Champions o Coppa del Re, il “Clasico” resta sempre e comunque uno spettacolo formidabile.

martedì 24 gennaio 2012

Juventus straripante: primo gol di Del Piero nella nuova casa bianconera


La Juventus di Conte guarda il cielo e ammira le stelle, sperando di acciuffarne qualcuna: gli obiettivi sono una d’argento per la Coppa Italia e una d’oro per il campionato (considerando gli scudetti vinti sul campo dalla Juve di Capello), per raggiungere così la terza. E oggi la Coppa Italia ha regalato uno spettacolo degno della migliore FA Cup o della Copa del Rey; uno Juventus Stadium, per l’ennesima volta stracolmo, ha assistito ai bianconeri dominare la Roma di Luis Enrique e vincere per 3-0, raggiungendo così la semifinale, di una coppa che manca alla famiglia Agnelli dal 1995, troppo tempo per chi in bacheca già ne possiede nove.
Entrambe le squadre applicano un turnover non troppo ostentato, mostrando così l’interesse per la competizione. Conte schiera Pirlo, Marrone, Giaccherini ed Estigarribia nella linea di centrocampo, aggiungendo anche Lichsteiner formando così un reparto a cinque, e Del Piero a supporto di Borriello in attacco; dal canto suo l’allenatore spagnolo propone il tridente d’attacco Bojan-Totti-Lamela, e a centrocampo Gago, Pjanic e Simplicio.
La partita comincia subito in discesa per i bianconeri quando una palla di Marrone taglia tutto il campo e lancia Giaccherini da solo contro Stekelenburg, che di sinistro gonfia la rete per la seconda volta consecutiva dopo il gol contro l’Atalanta. La Roma pare accusare il colpo, e i soli a cercare la via del gol sono i centrocampisti, con improbabili tiri da lontano, che Storari puntualmente intercetta, mentre la Juve continua a stare concentrata, così come ordina Conte, cercando il raddoppio nonostante Borriello appaia leggermente fuori dal gioco. Raddoppio che arriva, nel migliore dei modi possibile: Del Piero lancia Borriello in profondità, il pallone rimbalza su Kjaer e ritorna sui piedi del Capitano, che dal limite dell’area cerca e trova l’incrocio dei pali più lontano. Gol pazzesco e stadio in delirio. Finalmente questo tanto agognato primo gol nel nuovo stadio è arrivato, proprio nel giorno del 9° anniversario della morte dell'Avvocato Agnelli. Un segno del destino?
La Juve non si rilassa e non perde la testa, Lamela invece sì. A metà della ripresa l’argentino, a palla lontana, scalcia dritto nei “gioielli” Chiellini, e Banti lo espelle. A questo punto per la Roma è veramente finita, che lascia ai bianconeri la possibilità di centrare il terzo gol. Ci provano Estigarribia, quest’oggi scatenato sulla fascia sinistra, Matri più volte, ma è sfortunato, e Quagliarella, che colpisce una traversa a portiere battuto. Dopo tanti tentativi, l’attaccante di Castellammare di Stabia, che oggi indossava una maschera di protezione sul volto, mette un pallone in mezzo sul quale non arriva Matri, anticipato da Kjaer che segna un irrisorio autogol. Oltre al danno la beffa, per una Roma che esce a testa bassa dal nuovo stadio di proprietà bianconera.
Dopo le partite con Siena, Fiorentina, Lazio e Novara, la Juve vince anche questa sfida indossando la casacca rosa, che a quanto pare porta fortuna. L’unica sfida non vinta, è stata quella al Friuli contro l’Udinese. Sarà curioso sapere con quale divisa giocherà la semifinale contro la vincente di Milan-Lazio, in una semifinale, la cui posta in gioco, è molto importante.

domenica 22 gennaio 2012

Cinic-Inter


Alla squadra di Reja non porta bene andare in vantaggio a San Siro contro l’inter; come l’anno scorso, quando andò in vantaggio con Zarate, una Lazio mai doma si è fatta rimontare per 2 a 1 e ha incassato la sconfitta.
Se il partner d’attacco di Klose, Cissé, sta lentamente finendo nel dimenticatoio, c’è sicuramente un motivo che non dipende da lui, e si chiama Tommaso Rocchi, o meglio, l’ immortalità di colui che illude tutti i tifosi laziali. E’ lui che a 34 anni suonati riesce ancora a inventarsi sempre nuovi gol e a trascinare la squadra; se non segna Klose, segna lui. Infatti stasera la Lazio era passata in vantaggio con una grande girata dell’attaccante  veneziano, che aveva fatto passare il pallone sotto le gambe di Lucio, ma l’Inter più cinica che si è mai vista, nonostante il pallino del gioco lo mantenessero sempre gli ospiti, riesce a pareggiare al 44’ grazie a Milito che di sinistro piega le mani di Marchetti, dopo uno stupendo uno-due con Alvarez. Questo è il momento di svolta della gara: l’Inter riprende confidenza e quando torna dagli spogliatoi con Sneijder e Obi in più rispetto al primo tempo, riesce a mantenere la gara su ritmi non troppo alti e a pungere nell’unica occasione che gli si presenta davanti: rilancio di testa di Lucio dalla metà-campo, la difesa celeste si addormenta e Pazzini, partito in leggero fuorigioco, con il pallone che gli rimbalza alto, trova un pallonetto perfetto che non lascia scampo a Marchetti. A questo punto l’Inter si trova nella condizione in cui più si esalta, ovvero passare in vantaggio e cercare di mantenerlo. Gli ospiti ci provano fino alla fine, mai demeritando di vincere, o quanto meno di pareggiare, e hanno anche qualcosa da recriminare, in quanto a dieci minuti dalla fine, su calcio d’angolo di Ledesma, Lucio interviene nettamente con un braccio; tutto lo stadio se ne accorge, tranne l’arbitro, che fa proseguire. Dopo il palo colpito da Rocchi nel primo tempo, oltre alla sfortuna, neanche Rizzoli sembra aiutare la Lazio. In più, anche i collaboratori di Reja si sbagliano facendo entrare Konkò per Gonzalez anziché per Mauri, facendo infuriare l’allenatore. 
Dopo tre minuti di arrembaggio finale l’Inter vince e sorpassa la Lazio raggiungendo così il quarto posto. L’anno scorso al giro di boa l’Inter aveva 35 punti, quest’anno ne ha altrettanti, Moratti non ha nulla da recriminare, anzi.

Campionessa d'inverno, è tornata la Juve


La Juve di Conte sembrava essersi persa tra le palme di Dubai, viste le prestazioni contro Lecce e Cagliari, e invece eccola qua, ad espugnare l'"Atleti Azzurri d'Italia" di Bergamo, contro la rivelazione del torneo, l'Atalanta di Colantuono. Sono bastati i gol di Lichsteiner e Giaccherini per laureare la Juventus campione d'inverno, titolo nullo per la bacheca dei trofei, ma importantissimo per il morale. La partita sembrava bloccata, complice anche la sfortuna bianconera, che aveva prima colpito il palo con Barzagli, poi la traversa con un tiro di Vidal dai 30 metri, e non era difficile pensare che la Juve avrebbe allungato di un solo punto in classifica, ma quando le situazioni si fanno difficili, si sveglia il genio di Andrea Pirlo, colui che riesce a rendere semplici anche le idee più complesse: lancio dai 35 metri a tagliare il campo per l'inserimento di Lichsteiner che di testa buca la porta di Consigli; non è la fotocopia del gol contro il Parma, ma poco ci manca. Grazie alla rete del terzino svizzero, la squadra di Conte può gestire bene il risultato, cercando di chiuderla. Matri si divora un gol cercando un pallonetto di sinistro che purtroppo esce di poco a lato, e intanto due giocatori chiave del gioco dell'allenatore leccese si infortunano: Marchisio e Pepe. Entrano Marrone e Giaccherini, che dimostrano di crescere ogni giorno di più, e sono infatti i nuovi entrati a propiziare il raddoppio: Pirlo scarica su Marrone, che con una palombella a scavalcare la difesa nerazzurra serve l'ex-cesenate che di destro al volo sigla il suo secondo gol in maglia bianconera, dopo quello in Coppa Italia contro il Bologna. La partita finisce così, con gli unici lati negativi degli infortuni accorsi ai centrocampisti. In conferenza stampa Conte elogia i suoi stimolandoli sempre di più a non fermarsi, sottolineando che non si è che a metà dell'opera. A settembre immaginare una serata come questa, sarebbe stata pura e semplice utopia.

mercoledì 18 gennaio 2012

Il solito "Clasico"


“Sono sempre loro, quelli illegali!”; così Riccardo Trevisani esalta il secondo gol blaugrana che sancisce l’ennesima sconfitta di Mourinho nel suo nono “Clasico” sulla panchina madrilena andato in scena questa sera.
Ci sono vari pro e contro per guardare un Clasico: da un lato si assiste al gioco del calcio nella sua essenza più pura, stilistica e agonistica allo stesso tempo, dall’altro si assiste a ciò che di peggio nello sport non c’è: cattiveria, simulazioni e antisportività a mai finire. Quest’andata dei quarti di finale di “Copa del Rey” non si è smentita e ci ha regalato un altro spettacolo al Bernabeu, così come lo era stato il Clasico della Liga un mese fa. Sembrava la serata di Ronaldo, Mourinho e di tutti gli 80mila del Bernabeu scoppiati di gioia al 10’ minuto quando la stella portoghese era riuscita a far passare la palla sotto le gambe di Pinto e segnare il suo secondo gol in carriera contro il Barcellona, ma non lo è stata, in quanto il Barcellona ha reagito come solo il Barcellona sa fare: non reagendo, o per meglio dire, giocarndo come fa sempre, che sia in vantaggio o in svantaggio. E la fatica paga, perché pur avendo un Messi anonimo un mezzo al campo, c’è sempre qualcuno che tira avanti la baracca, e quel qualcuno si chiama Charles Puyol, presente, e presto passato, del Barcellona. Il Capitano catalano riesce a segnare subito dopo l’inizio del secondo tempo con un gol su azione da calcio d’angolo (sì, sembra strano che il Barcellona che trova nelle palle alte il suo punto debole sia riuscito a segnare di testa al Real Madrid che invece ne sfrutta ogni situazione) e erge un muro davanti alla porta difesa dal vice-Valdes, Pinto.
Poi, come ogni fiaba, anche questa merita un lieto fine: quella di Eric Abidal, passato dall’aver sconfitto un tumore, all’aver alzato al cielo la Champions League in una notte memorabile, fino a segnare il gol vittoria contro la partita che vale più di tutte, quella contro i Blancos. Messi illumina, Abidal rifinisce. 2 a 1 per il Barcellona e qualificazione quasi ipotecata. Poco importa se un arbitro (presunto filo-madrilista) evita di espellere prima Pepe che oltre a ad aver simulato per tutta la gara, pesta volontariamente la mano di Messi quando quest’ultimo era a terra, e poi Carvalho che in due occasioni meritava di essere cacciato (prima per fallo da ultimo uomo, graziato con il giallo, poi per aver affossato Adriano, non sanzionato); il Barça va oltre tutto, oltre un’idea di calcio che non si vedeva dai tempi di Cruijff, e andrà a giocare al Camp Nou, molto più tranquillo, del solito Mourinho.

domenica 15 gennaio 2012

Il Derby torna nerazzurro: 1-0 di Milito


L'Inter espugna San Siro, frase legittima considerando che il Milan era in casa. Sembra la fotocopia del famoso derby di due anni fa finito 2 a 0 quando sedeva ancora Mourinho sulla panchina nerazzurra: Abate regala il pallone a Milito che insacca di sinistro con un preciso diagonale. La storia si ripete, nonostante la classifica sia un po' diversa da allora. Il Milan è apparso molto sottotono rispetto a come ci aveva abituati nell'ultima parte di dicembre, l'Iter appare rinvigorita dalle vacanze natalizie; pur senza Sneijder e Forlan, entrati solo nel finale, i nerazzurri riescono a fare una partita di sostanza e qualità, annullando il Milan, guidato dal condottiero Ibra. Pato è fuori forma, forse ancora scosso dalle voci di mercato, non ne sarebbe valsa la pena di venderlo per 40 milioni? Chiedere a Berlusconi per avere risposte. Nonostante il forcing finale rossonero, su un campo più scivoloso che mai, il Milan non riesce a segnare, prima fermato dalla traversa colpita da Van Bommel, e poi dagli interventi di Julio Cesar; e poco importa se dopo appena 5 minuti il guardalinee aveva annullato un gol regolare a Thiago Motta, l'Inter mette in cassaforte 3 punti, il primo derby dell'anno, e si porta a -6 dalla capolista Juventus, oggi pomeriggio bloccata dal Cagliari per 1 a 1. Il Campionato è sempre più aperto.