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mercoledì 29 febbraio 2012

Forse era meglio la moviola..


“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Se non la più celebre, una delle frasi più celebri della Bibbia è proprio questa, tutt’oggi salda giustiziera in parecchi casi. A cosa è dovuto questo accanimento mediatico contro Buffon, uno dei pochi superstiti dell’impresa tedesca? La pressione si è fatta sentire, lo sappiamo, durante tutta la settimana scorsa, e in particolare sabato sera, finalmente giunti al fatidico momento-clou del semestre calcistico italiano, Milan-Juventus. Caso vuole che questo sfrenato pressing emotivo su società, calciatori e arbitri abbia scatenato un domino, costruito ad hoc, destinato a non finire più, se non quando la dea bendata (che in questo caso ci vede benissimo) ci fornirà altri motivi di discussione.
 Il gol di Muntari era gol, ormai lo sanno anche i muri; alla Juve è stato negato un gol regolare, e anche questo è un dato di fatto. Il capitano (solo di fatto, il vero Capitano è sempre in panchina) bianconero ha, sfortunatamente, esposto il suo pensiero rispondendo ad una domanda in modo più che sincero: <<Se mi fossi accorto che la palla era entrata, non lo avrei detto all’arbitro>>. Una volta accesa la miccia il petardo deve scoppiare, non c’è alcuna possibilità di evitare lo scoppio: a partire dai giornalisti più opportunisti, passando per l’incarnazione anti-Juve, Zeman, arrivando a Braschi, il flambé mediatico che è scaturito ha visto Buffon mitragliato di accuse, culminate con la richiesta di revoca della fascia di capitano della Nazionale. Tuttavia, sono arrivati anche avvocati difensori: il più inatteso (e forse più religioso) è stato senza dubbio Thiago Silva, che mettendosi nei panni del portiere ha affermato che si sarebbe comportato ugualmente; il più scontato, e per così dire “necessario”, è stato Cesare Prandelli, che ha ribadito che Buffon è reo di aver parlato in maniera sincera ed onesta, in un ambiente non abbastanza maturo per delle dichiarazioni simili. A dire la verità, chi avrebbe confessato il fatto? Mexes avrebbe per caso dovuto dire a Tagliavento di aver tirato un pugno a Borriello? Perché non apprezzare quando un calciatore esemplare come Buffon parla con sincerità, e tralasciare queste discussioni inutili? Si lasci parlare il campo, che è il miglior giudice, ma magari un avanzamento tecnologico non guasterebbe…

domenica 26 febbraio 2012

Polemiche e pugni: si accende la sfida Scudetto. A S. Siro è solo 1-1


Una partita orfana di vigilie come queste mancava da tanto tempo ai bianconeri, e i media non se la sono fatta sfuggire, caricandola di una tensione forse un po’ prematura, guardando il calendario. Tuttavia, non è una partita come tutte le altre, è la Partita. Il match per il quale si aspetta una stagione intera, quella che, solitamente, innesta sul binario giusto coloro che infine vinceranno il tricolore. Tutta Italia, ha aspettato con trepidazione questo incontro, così importante da far passare l’altro big-match, Napoli-Inter, come un’altra partita qualsiasi. 
Dopo ore e ore di pre-partita, ricordi e testimonianze varie, video di gol, alcuni belli e altri fortunosi, opinioni e tensione tale da poter essere tagliata con un grissino, finalmente la Scala del Calcio presenta alla nazione intera (senza tralasciare tutti gli altri paesi collegati) i 22 attori protagonisti della serata: Conte lascia in panchina Matri, Vucinic e Pepe, schierando Borriello, Quagliarella ed Estigarribia, con un ormai solito 3-5-2, mentre Allegri punta tutto su Robinho e Pato, supportati da Emanuelson. La scena poi verrà rubata dalla terna arbitrale, ma andiamo con ordine: i primi dieci minuti lasciano poco spazio all’immaginazione, facendo prevedere il solito copione, con una Juve aggressiva in tutti i punti del campo e Milan pronto a ripartire; invece no, i rossoneri annullano i bianconeri con la loro stessa arma, l’intensità di gioco. La partita più difficile di tutta la stagione dei bianconeri inizia a dare i suoi frutti, per la gioia, parziale, di Galliani e co.: Bonucci si addormenta, sbagliando un disimpegno in mezzo al campo, e sul successivo tiro da lontano di Nocerino, devia il pallone oltre le spalle di Buffon. La Juve non è esperta di rimonte (non a caso, l’unica vittoria bianconera arrivata dopo essere passati in svantaggio, è stata quella contro il Catania) e gli undici di Conte faticano a riprendersi, tanto che rischiano e dovrebbero subire il secondo gol. Buffon prima compie un miracolo su Mexes, poi sulla ribattuta di Muntari salva il pallone, che tuttavia è già entrato in porta di almeno 20 centimetri. L’assistente Romagnoli non vede, Tagliavento si affida a lui, lasciando ripartire la Juventus in contropiede, che sfiora il gol del pareggio con un gran tiro di Estigarribia. Scoppia la polemica che ci accompagnerà per settimane e settimane. Oltre all’acuto del paraguaiano la Juventus sembra una copia della squadra Delneriana.
All’intervallo, dopo un presunto siparietto poco amichevole tra Galliani e Conte, l’allenatore bianconero si mette ai ripari, “scaricando” Estigarribia, per Pepe, e passa ad un più classico 4-3-3. Allegri fa altrettanto, e toglie dal campo il fantasma di Pato, per un sempre più promettente El Shaarawy. In campo cambia poco, se non che il faraoncino incide di più di quello che è un Pato sempre più perduto, tra infortuni muscolari e figlie di presidenti. Intanto entra in campo anche Vucinic, al posto di Borriello, con lo scopo di illuminare e accendere la squadra: bocciato. Per suonare la carica ai bianconeri ci vuole la personificazione della grinta, di colui che non è mai disposto a mollare mai, Giorgio Chiellini. Il terzino sinistro livornese serve un cross perfetto per Quagliarella, in procinto di uscire dal campo per far posto a Matri, che da un metro di distanza spara il pallone su Abbiati. Non sarà lui il salvatore della patria, ma i tifosi bianconeri possono tranquillizzarsi, quando vedono entrare Matri, caricato di rabbia ed energia accumulate nei 70 minuti di panchina. Prima riesce a segnare, ma l’assistente di Tagliavento (sempre lui, sempre Romagnoli) gli nega la gioia del decimo gol stagionale per un inesistente fuorigioco. L’attaccante non si da per vinto, e quando vede arrivare un cross invitante di Pepe, benché marcato stretto da Thiago Silva, non ci pensa due volte e calcia al volo: è il gol che potrebbe valere stagione, e come lui stesso ha affermato, è il più importante della sua carriera. Il Milan allora capisce che non è il momento di accontentarsi, ed entrambe le squadre si sfidano in battaglia come se fossero Sparta e Atene. Volano pugni e colpi bassi, entrate da macellaio che costano il rosso a Vidal e il giallo a Pepe (entrambi salteranno la prossima sfida, con il Chievo), e la tensione non scende neanche quando l’arbitro fischia la fine di un match che passerà alla storia più per gli errori arbitrali che per il risultato. I rapporti tra le due squadre resteranno incrinati ancora per un bel po’, speriamo che la sfida scudetto resti altrettanto equilibrata. Forse un po’ di tecnologia in più sarebbe necessaria, o basterebbero anche due assistenti di porta; quel che è stato è stato, lasciamo le polemiche agli altri e godiamoci lo spettacolo che dovrebbe essere il calcio.

mercoledì 22 febbraio 2012

Vedi Napoli e poi muori..



Le origini simili, il passaporto comune e la barba incolta simili a Mourinho gli sono costati il nome pesante di erede dello Special One, niente meno che “Special Two”. L’uomo, cresciuto sotto gli insegnamenti di Robson, conosciuto in qualità di semplice vicino di casa, ha passato una quindicina d’anni al fianco dell’attuale allenatore del Real Madrid, prima a Barcellona (di cui poi Mourinho diventerà acerrimo nemico), poi al Porto, dove vincono insieme la seconda Champions League della storia del club, successivamente al Chelsea, alla corte di Abramovic e infine all’Inter di Moratti. Proprio durante quest’ultima esperienza, abbandona il proprio mentore per accettare l’offerta propostagli dall’Académica, ultima in classifica della Primeira Liga, riuscendo a fine anno a salvare la squadra, posizionandosi all’undicesimo posto. Questa vetrina gli regala l‘ingaggio da parte del Porto, con il quale vince tutto il vincibile, marcando le orme proprio di Mourinho. Alla fine dell’anno scorso sceglie la via della gloria, quella che porta, non sempre tuttavia, agli dèi dell’Olimpo. Ricercato da mezza Europa (compresa l’Inter), accoglie la proposta del Chelsea, disposto a pagare la clausola rescissoria. Sembra la definitiva consacrazione, ma non è che l’inizio di quella che sembra una fine molto ravvicinata. Con una stagione molto al di sotto delle aspettative in Premier League, coronata con il momentaneo quinto posto, eliminato dalla Coppa di Lega, la carriera dell’allenatore portoghese sulla panchina del Chelsea sembra destinata a finire, a maggior ragione dopo l’improbabile risultato di ieri sera: una sconfitta per 3-1 al San Paolo contro il Napoli, maturato sì per merito dei padroni di casa, ma anche, e soprattutto per l’insufficiente tatticismo adottato dal tecnico. L’ormai scontata eliminazione dalla Champions League, (a Stamford Bridge sarà comunque difficile per i Partenopei) fa comparire su Villas Boas il fantasma di Mourinho e all’orizzonte c’è già chi prevede un arrivo di Benitez (anche lui colpito ai tempi nerazzurri dagli spettri dello Special One). I tifosi del Chelsea (e anche dell’Inter) intonano già da settimane il nome dell’ex-allenatore; Villas Boas continuerà ad essere lo Special Two, o era semplicemente l’illusione di quella che poteva essere una carriera straordinaria?

martedì 21 febbraio 2012

'O Matador 'nnamurato: il Napoli stende il Chelsea 3-1 e continua il sogno Europeo





Italia 2, Inghilterra 0. Dopo questa sera la Football Association si dovrà porre qualche domanda, considerando che dopo la prematura eliminazione delle due squadre di Manchester, la scoppola presa dall’Arsenal in casa del Milan, anche il Chelsea, arrivato al San Paolo speranzoso di potersi riscattare, torna a Londra con un sonoro 3-1, firmato Cavani e Lavezzi. Poco importa se sulla panchina partenopea sedesse Frustalupi e non Mazzarri, squalificato: il Napoli ha giocato la partita, se non la più importante una delle più importanti della sua storia, in maniera esemplare, soffrendo, regalando un gol al Chelsea, ma mostrando il coraggio e la determinazione di portare a casa un risultato che va quasi stretto, considerando che lo scarto poteva essere maggiore.
Le squadre inglesi e gli ottavi di Champions League non hanno portato bene alle italiane negli ultimi anni, ma la rotta si è invertita e la partita di oggi ne è la prova.  In attesa di scoprire il risultato di Marsiglia-Inter ci possiamo già sentire con più di un piede ai quarti di finale, ma guai a dire “cat” (per dirla alla Trapattoniana), riportando alla mente la storica “remuntada” del Deportivo la Coruña ai danni del Milan.
Sarà stato l’effetto San Paolo, l’aria di Champions, o Frustalupi in panchina, fatto sta che il Napoli compie l’ennesima meraviglia europea grazie al risveglio dal letargo del Matador Cavani e del Pocho Lavezzi. E pensare che i padroni di casa erano andati in svantaggio a metà del primo tempo, quando un rimbalzo fasullo inganna Cannavaro, che lascia a Mata tutto il tempo di segnare la prima rete del match. Purtroppo prima della rete, due interventi prodigiosi di Cech (di cui uno in spaccata degna di una ballerina), portiere dato ormai per finito, avevano negato la gioia del gol ai partenopei. Lo stadio e i giocatori sembrano accusare il colpo, e ammutoliti assaporano quella che sembra la fine di un’illusione che dura ormai da mesi. Fortunatamente nell’11 titolare è presente un giocatore che meriterebbe di ricevere in eredità il 10 di Maradona. Questo giocatore si chiama Lavezzi, e sta diventando sempre più trascinatore di questa squadra infinita. Proprio lui decide, dieci minuti dopo il gol subito, di far suonare la sveglia e dare la carica ai suoi: non aveva mai segnato in Champions League, e aveva promesso al figlio di farlo proprio questa sera. E siccome un papà mantiene sempre le promesse, quando gli si presenta davanti l’occasione il Pocho non sbaglia: tiro da fuori area che si insacca alle spalle di Cech. Il boato del San Paolo è assordante, ma il bello deve ancora venire. Dopo aver rischiato di passare di nuovo in svantaggio, proprio allo scadere della prima frazione di gioco Inler confeziona un cross al bacio per Cavani, che insaccando il pallone con un pregevolissimo colpo di spalla, avrà fatto piangere di gioia Mazzarri, rimasto a Castelvolturno. Il Matador va sotto la curva ad esultare; gli si legge negli occhi l’amore che prova per tutti quei 50mila tifosi venuti a vederlo, e vorrebbe abbracciarli tutti come se fossero dei fratelli.

Ezequiel Lavezzi, doppietta pesante. Afp

Potremmo già ritenerci soddisfatti di quanto visto, ma il cronometro ci ricorda che siamo solo a metà. E allora pronti, via, dopo soli dieci minuti la prima grossa emozione: il Pocho si maledice, quando solo davanti a Cech, mostra il limite del suo bagaglio tecnico infinito, ovvero il piede sinistro, che lo condanna a calciare il pallone fuori alla sinistra del portiere. L’argentino non demorde, e dopo altri dieci minuti decide che deve offrire una cena a Cavani, che, saltato David Luiz con Cech fuori dai pali, gli serve un pallone delizioso impossibile da sbagliare. E’ l’apoteosi partenopea, che potrebbe dilagare con Maggio, il quale però si vede salvare da Ashley Cole sulla linea un gol praticamente già fatto. Nessuno, o forse pochi, avrebbero scommesso su questo risultato prima della partita; incredibilmente dopo di essa, ci va anche stretto. Poco importa, le scosse di terremoto di saranno sentite lo stesso a Fuorigrotta e dintorni.
Il Chelsea perde, pur non demeritando, restando con due soli superstiti in campo: Juan Mata, che diventerà sempre più, di quanto già non è, pilastro di questa squadra, e Didier Drogba, che nonostante l’età, si danna per 90°, purtroppo per lui senza trovare la porta. Il sogno azzurro continua, accompagnato dalla scena più bella ed emozionante alla quale un tifoso di calcio potrà assistere: il San Paolo intona per oltre dieci minuti l’inno di battaglia, ‘O surdato ‘nnamurato, ringraziando i suoi 11 eroi che ogni volta regalano emozioni indimenticabili.


domenica 19 febbraio 2012

La Juve prende la medicina e torna a vincere: 3-1 al Catania


JUVENTUS-CATANIA 3-1 -  Ma, dopo pochi minuti, Andrea  Pirlo firma il pari (Ap)
Lo Juventus Stadium come un tempio, il cui poter magico semprava poter essere sfatato. L’urlo dei 40mila bianconeri si strozza improvvisamente al 4’ minuto, quando il “Lavezzi mancato”, Barrientos, imita Caracciolo in occasione del gol contro l’Inter, e trafigge Buffon con un tiro a giro. Sembra uno specchio che si rompe, un sogno infranto; lo spettro dei due anni passati è vigile sui milioni di tifosi bianconeri. Izco e compagni si gonfiano d’orgoglio e credono di poter essere i primi della storia ad espugnare il nuovo stadio bianconero, ma la Juve ha nelle sue trafile il “Napoleone Bonaparte”della situazione, il condottiero che illumina il sentiero: Andrea Pirlo, passato da essere scarto del Milan, a faro della Juventus. E’ proprio il bresciano a riaccendere gli animi dei suoi compagni quando al 22’ segna (finalmente) su punizioneil primo gol in bianconero, che tardava ad arrivare.
In avanti Conte aveva schierato Quagliarella e Borriello, bocciando così gli ex-titolari Matri e Vucinic. Il napoletano è apparso in forma strepitosa,forse  leggermente egoista, ma, giocando in maniera molto esuberante, sfiora il colpo del 2-1, colpendo la traversa dai 20 metri. A lui risponde quasi immediatamente Bergessio, che brucia in velocità Bonucci, ma anche lui colpisce la traversa. La Juventus alza il ritmo, ma non riesce ad incidere fino a quando, a metà del secondo tempo,l’ex giocatore Motta diventa per la prima volta decisivo per i bianconeri: stende De Ceglie in maniera tutt’altro che gentile e si becca così il secondo giallo, il che significa Catania in dieci e Juve che ingrana la quinta. Nonostante ciò, per evitare il secondo svantaggio ai bianconeri, ci vuole un provvidenziale miracolo di Buffon, che salva il risultato su Almiron. Tuttavia a partita la cambia ancora Pirlo (che nel frattempo aveva scheggiato la traversa), sfornando un assist per Chiellini, che segna il suo secondo gol in campionato, rivendicando il palo colpito mercoledì a Parma. Come minimo Conte deve fare un elogio a Kosicky, che in occasione del primo gol posiziona malissimo la barriera, e poi esce a vuoto prima del colpo di testa di Chiellini. La partita sempra innestata sui binari giusti per Buffon e compagni, ma manca la ciliegina finale, che confeziona ancora il nemico-amico Kosicky, sbagliando un rinvio, intercettato da Pirlo che serve a Quagliarella, che trafigge il portiere catanese. Nei festeggiamenti intorno alla bandierina interviene Storari, che riesce (involontariamente e contemporaneamente) a dare uno schiaffo a Bonucci, procurare un taglio al naso a Pepe, e a dare una botta in testa all’autore del gol, che prontamente lo allontana. Lo screzio finisce lì, la Juve deve avere in un gruppo granitico la sua forza, e finalmente ha ritrovato il gol, la medicina migliore per qualunque scquadra. Unico neo della serata la prova deludente di Padoin in un improbabile posizione di esterno destro. Tra una settimana c’è lo scontro diretto Milan-Juventus, la partita che vale una stagione. Forse si giocherà con Ibrahimovic, forse si giocherà senza, ma una cosa è certa: la Juve sputerà sangue per portare a casa tre punti, che in Corso Ferraris aspettano da troppo tempo.
 

lunedì 13 febbraio 2012

La Cenerentola d'Africa, lo Zambia è campione


Zambia's captain Christopher Katongo kisses the trophy after winning the 2012 African Cup of Nations tournament's final match against Ivory Coast in Libreville
Davide contro Golia, Zambia contro Costa d’Avorio. Come spesso accade nei momenti decisivi della Coppa d’Africa la situazione si è risolta ai rigori, e la maledizione inflitta agli “Elefanti”, anni or sono, continua, in particolare al capitano e trascinatore, Drogba. L’impavida lotteria ha finalmente premiato coloro che erano arrivati già due volte a pochi passi dal traguardo, ma inciampati sempre sul più bello. Ma andiamo con ordine.
In una competizione orfana delle grandi nomee, quali Egitto (detentore del record di vittorie), Camerun, Sudafrica e Nigeria, il livello tecnico alquanto modesto ha fruttato una finalista scontata, la Costa d’Avorio, che in semifinale aveva battuto il Mali di Keita, e una finalista “cenerentola”, lo Zambia, squadra guidata da un coraggioso 43enne francese di nome Hervé Reanard, che presenta solo nomi sconosciuti, a noi campanilisti europei. Questi ultimi avevano superato ogni aspettativa, battendo in semifinale il Ghana, memore dell’avventura in Sudafrica due anni fa, e quindi fiducioso di arrivare all’ultimo gradino. Tanto per capirci, prima del torneo, nei punti scommesse lo Zambia non figurava nemmeno tra i possibili vincitori.
La partita, giocata a Libreville davanti agli occhi di Blatter, si presentava con un copione già scritto: Costa d’Avorio, piena di campioni dagli stipendi prossimi al PIL nazionale, che asfalta lo Zambia, squadra i cui investimenti fatti dal governo sono inferiori a quelli di una squadra militante nella nostra Lega Pro. Fortunatamente ci sono attori che il canovaccio lo prendono e lo buttano nel cestino, e questi indossano la maglia verde. Per la prima mezz’ora è lo Zambia a fare gioco, chiudendo tutti gli spazzi e evitando di far ragionare gli avversari, che sì,cercano di riprendersi, ma imbattono nell’individualismo di Gervinho e nell ‘anonimato di Drogba.
Ai calci di rigore, vincono per 8-7 i giocatori di Herve Renard - 3
Nella ripresa, esce il fantasma di Kalou ed entra Gradel, e la Costa d’Avorio sfiora il gol quando su assist di tacco di Drogba, il pallone d’oro africano Yayà Tourè calcia il pallone che esce per questione di centimetri. Tuttavia l’entusiasmo dello Zambia sembra prevalere, fino a quando Chansa non frana su Gervinho, obbligando così l’arbitro a fischiare la massima punizione. Fortunatamente per la squadra capitanata da Katongo, sul dischetto si presenta Drogba, che con la maglia della sua nazionale, nei momenti topici non ha molto feeling con il pallone. Dopo aver sbagliato anni fa in finale contro l’Egitto un rigore decisivo, e un altro in questa competizione, anche in questa occasione si fa ipnotizzare da Mweene, calciando così il pallone in tribuna. Il portiere in maglia gialla esulta in faccia al giocatore del Chelsea in stile Eddie Guerrero e cerca di dargli la mano; prontamente Drogba si scansa e accusa la zolla del campo per l’errore. In una finale avara di momenti veramente emozionanti, si passa così ai supplementari, dove solo lo Zambia sembra essere ancora in vita, e colpisce il palo con Katongo dopo una bellissima azione sulla destra.
La sonnolenza di gioco porta così agli inevitabili calci di rigori, un “must” della maggiore competizione africana, come la Costa d’Avorio ben sa. I rigoristi sono tutti baciati dalla dea bendata, soprattutto Bamba, al quale, dopo essersi visto parare il rigore da Mweene, viene concesso di ribattere il calcio di rigore, poi trasformato. Lo stesso Mweene, in perfetto stile Butt (ex-portiere del Bayern Monaco), si presenta sul dischetto e realizza il quinto rigore della sua squadra. Per assistere al primo e vero errore bisogna attendere il 15° rigore, quando Kolò Toure, propostosi al posto di Gervinho, non in vena di tirarlo, si fa parare un rigore calciato malissimo. Tutti i giocatori dello Zambia sono in ginocchio, cantanti e preganti, ma colui che poteva divenire il giocatore-copertina di un intero paese, Kalaba, spara alto, facendo così continuare la serie infinita di calci. Finalmente sul dischetto si presenta il giocatore dell’Arsenal, Gervinho: se non voleva calciare il rigore c’era un sicuramente un motivo, perché anche lui sbaglia clamorosamente calciando alle stelle. Si presenta così il Fabio Grosso di colore, Stoppila Sunzu. Nei suoi occhi si legge la stessa tensione e emozione del terzino della Juventus, solo che lui calcia di destro. Il rigore si insacca alle spalle di Copa e la Zambia può finalmente gioire. Un paese mitragliato dalla sfortuna e dalla povertà, stacca la spina per una sera dai problemi quotidiani e ringrazia i suoi eroi. Finalmente possono sollevare la coppa, che vale per loro una carriera, e cantare fino a tarda notte, come solo gli africani sanno fare. 

sabato 11 febbraio 2012

Il sogno, infranto, del rugby..

Qual è il colmo per degli inglesi? Venire a giocare a Roma, e trovarsi in mezzo alla neve. Così è stata accolta la nazionale inglese di rugby, in un candore romanesco che non si vedeva da tanto tempo, destinata a lottare contro gli azzurri di Brunel tra le mura di uno stadio Olimpico incredibilmente (quasi) pieno, nonostante il “blizzard” che aveva colpito l’Italia durante la mattinata. Saranno stati tutti questi fattori, un po’ fuori dal normale, a regalare ad una nazione intera 49 minuti di pura follia e soprattutto utopia: battere l’Inghilterra non sembrava più così impossibile, dopo che, in svantaggio per 6-0 e orfani di Castrogiovanni uscito per infortunio, gli azzurri ci hanno messo la grinta e il cuore per ribaltare il risultato. Una meta di Venditti, che sfrutta un brutto controllo di Foden permette l’Italia di arrivare a un solo punto di distanza (in quanto Burton non trasforma); sempre lo stesso Foden poi rischia seriamente di compromettere la sua reputazione, quando sbagliando un passaggio a metà campo, regala a Benvenuti il pallone del vantaggio, e del sogno italiano. Il boato dell’Olimpico è qualcosa di incredibile, e la gioia di tutti i pub in cui i tifosi erano riuniti a guardare la partita, vale molto più di qualunque vittoria. Al termine della prima frazione, il tabellone di casa, recita Italia 12, Inghilterra 6. Il sogno continua, ahinoi, solo 9 minuti. L’Italia ormai la conosciamo: cambia l’allenatore, ma la mentalità resta quella di squadra “piccola”, che fatica a mantenere un vantaggio, che in momenti come questi, vale oro. Masi, passando dalle stella alle stalle (eroe contro la Francia l’anno scorso), calcia dai 22 facendosi intercettare il pallone da Hodgson, che ripete la scena della meta realizzata contro la Scozia una settimana fa. Questo è il punto di non ritorno, in quanto in vantaggio ancora di due punti, concediamo troppi spazi regalando ben due punizioni che ci costano uno svantaggio di ben 4 punti, che rendono così obbligatoria la ricerca della meta. All'Italia manca il calciatore che risolva le situazioni complicate, il Wilkinson di turno, per capirci. Dieci minuti che sanno di beffa, di ingiustizia, ma anche di cruda realtà. L’Italia regala emozioni e speranze fino all’80’, quando un errore di Semenzato vanifica tutti gli sforzi dell’ultimo quarto d’ora. Onore ai vincitori, ma soprattutto ai vinti; l’Irlanda è avvisata, questa Italia non ha nulla da perdere.

giovedì 9 febbraio 2012

La storia infinita del "Pelado"


Se ti dicessero che un difensore uruguaiano, ha esordito per ben due volte con la maglia della Juventus, e in entrambe le partite ha fatto un gol, faresti fatica a crederci. Invece questa è la vera storia di Martin Caceres, soprannominato “El Pelado”, che di mestiere fa il terzino destro, sinistro ed il difensore centrale: arrivato alla Juventus nel 2009, l’anno che poteva sancire la rinascita bianconera, andata malamente in fumo, fu buttato nella mischia da Ciro Ferrara il 12 settembre allo Stadio Olimpico contro la Lazio. Esordio in maglia bianconera da incorniciare: gol e vittoria per 2-0. Non è da tutti i giorni arrivare in Italia e segnare al debutto. Ciò nonostante l’annata, come tutti ben sappiamo, fu tragica per tutti, compreso lui. Una pubalgia lo costrinse a stare fuori molti mesi e in estate il neo-dirigente Marotta non decise di riscattarlo per 12 milioni.
Dopo una parentesi ricca di soddisfazioni al Siviglia, dove venne acquistato per soli 4,5 milioni, la Juve si decide di nuovo a puntare sulla spola uruguagia, prendendolo in prestito nella sessione di mercato invernale del 2012: costo totale dell’operazione, tra prestito e riscatto, 9,5 milioni. Un investimento importante e un po’ azzardato, a detta di molti. Ma “El Pelado” è nato per zittire sul nascere tutte queste dicerie, e risponde più che presente quando Conte lo convoca per la prima volta. Non si tratta di una partita di poco valore, bensì della semifinale di andata della Coppa Italia (a.k.a. Tim Cup), nientemeno che alla “Scala” del calcio, San Siro, contro il Milan, secondo in classifica in campionato. E’ in questa partita che si presenta agli increduli occhi dei tifosi bianconeri il bomber che non ti aspetti: all’inizio del secondo tempo su parata di Amelia dopo un diagonale di Borriello, si presenta proprio lui, e la butta dentro. La Juve intanto, dopo il vantaggio, ha subito il pareggio, ma Conte la vuole vincere a tutti i costi. A questo punto avviene la magia, la stella cadente in cielo coperto dalle nuvole estive:  dopo un cross di Giaccherini la palla, ribattuta, termina sui piedi di Caceres al limite dell’area. C’è lo spazio, e il tempo; sapevamo tutti quello che stava per succedere, ma nessuno ci credeva veramente. Potrà un terzino fare un gol da trequartista puro, facendo un pallonetto al portiere? L’unico che ci ha creduto è stato lui apparentemente. La palla scavalca Amelia e si infila sotto l’incrocio dei pali. Sarà il gol che permette alla Juve di espugnare San Siro, e avere già mezza qualificazione in tasca. Sia lui che Lichsteiner hanno segnato all’esordio, forse porta bene essere terzini destri nella nuova Juve targata Conte.

domenica 5 febbraio 2012

Altro che calcio-spezzatino..

Fabio Borini, 20 anni, doppeitta contro l'Inter. Ansa

Sapore di Amarcord per tutti i nostalgici della “Domenica pomeriggio”: tutte le partite alle 15,compresi due big match, ad eccezione di Genoa-Lazio, giocata alle 12 e 30 (e Cesena-Catania, rinviata). La capolista Juventus spreca un set-point che poteva seriamente compromettere le speranze tricolori del Milan, grazie al pareggio del Napoli in casa dei rossoneri e della sconfitta dell’Udinese al Franchi di Firenze. Sarà stato il gelo che quest’oggi ha avuto effetto contrario rispetto al turno infrasettimanale, ma in un pomeriggio le cui anticipazioni prevedevano tutt’altro che noia, abbiamo visto ben quattro 0-0 e troppi cartellini rossi.
La corona della domenica va assegnata senza dubbio al Siena, in versione Oscar della salvezza, che mette sul campo il lavoro meticoloso di Sannino: chiusura in difesa come un riccio arroccato nel suo rivestimento, i cui aculei sono formati da Destro e Calaiò prima, Reginaldo e Gonzalez poi, che mettono in serio rischio l’imbattibilità bianconera. Tuttavia una vittoria azzurra (oggi il Siena indossava la seconda casacca) avrebbe avuto il sapore amaro di beffa per una Juventus che ha premuto sull’acceleratore fino al 94’, rischiando di fare un testa-coda quando Gazzi ha sparato di poco a lato al 42’, subito dopo che era stato negato un rigore alquanto evidente a Buffon e compagni. Pegolo ha fatto il vigile, gettando il malocchio sulla sua porta, stregata per tutti, da Lichsteiner a Borriello. Conte non avrà preso bene questo pareggio, seppur avendo giocato con grande intensità, sapendo che il Milan in casa con il Napoli ha copiato il risultato di Torino, chiudendo la partita in dieci, per l’espulsione di Ibrahimovic (che ora rischia di essere squalificato per 3 giornate, tra le quali vi è Milan-Juventus), da aggiungersi a quella di Allegri. Il Napoli non ha rischiato abbastanza da portare a casa i tre punti, buttando così un’altra occasione per cercare di riagguantare per lo meno la zona Europa League. Come se non bastasse, anche l’Udinese, terzo in comodo della vetta, è inciampata nella rinascita della Fiorentina, che trascinata dal mattatore Jovetic, ha battuto per 3-2 i Friulani.
 Il secondo big match della giornata, vedeva sfidarsi Roma e Inter, ma è stato piuttosto un allenamento domenicale quello a cui hanno assistito i (pochi) tifosi  giallorossi, mandati in delirio dal nuovo idolo di casa, Borini, autore di una pregevole doppietta, incorniciata da un gol di Juan in apertura, e uno di Bojan nel finale. 4-0 e la Roma torna a sperare, l’Inter a disperare. I giallorossi presentano un difetto caratteriale bizzarro, passando da prestazioni scialbe come quella di Cagliari, ad esibizioni di calcio giocato stupefacenti, come in questa occasione, l’Inter invece dimostra limiti sempre più evidenti, nonostante le numerose assenze, incassando il decimo gol in sole tre partite.
Alessandro Matri. LaPresse
Non dista molto dalla zona europa il Palermo, che trascinato dall’insostituibile Miccoli e dal rinato Budan vincono contro l’Atalanta, rimasta in dieci per l’espulsione di Consigli. Il Parma ritrova finalmente Giovinco tornato al gol (e che gol), a un solo gol dalla doppia cifra, e batte il Chievo ringraziando Luciano, autore di un’ingenuissima autorete. Le partite di Lecce e di Novara, avare di gol, non regalano molte emozioni, se non qualche acuto di Caracciolo e di Muriel.
 Nell’anticipo dell’ora di pranzo, il Genoa ridimensiona la Lazio, arrivata a Marassi galvanizzata dalla vittoria contro il Milan, e grazie alla doppietta di Jankovic e al gol di Palacio, evita la rimonta celesta, portando così a casa una vittoria importante per 3-2.
Ci sarà la coppa Italia di mezzo, ma da domenica si torna al campionato, con la Juve in pole position, come finirà? 
L'arbitro Rizzoli manda Zlatan Ibrahimovic fuori dal campo, dopo lo schiaffo ad Aronica. Reuters

mercoledì 1 febbraio 2012

Nevicata di gol e spettacolo, nonostante 4 rinvii


Se la neve ci ha impedito di guardare ben 4 partite in programma, quelle giocate quest’oggi hanno pienamente compensato la mancanza, regalandoci gol (19 in 5 partite) e spettacolo.
Diego Milito, poker al Palermo. AnsaLa notizia che più salta all’occhio guardando la classifica è che la Juventus, unica “big” a non scendere in campo, mantiene salda la vetta, favorita dal mancato sorpasso dei rossoneri, poiché sconfitti per 2-0 all’Olimpico da una Lazio più rivoltata che mai, orfana del Kaiser Klose, che sfata incredibilmente il tabù Milan, dopo 14 anni di malocchio. In questo modo la squadra di Reja sveglia il campionato, manda un sms al podio momentaneo, Juve, Milan e Udinese, dicendo: <<Guardate che ci sono anch’io!>> e staccando l’Inter al 4° posto, fermata nella più incredibile delle partite: sotto, e anche sopra, date le condizioni di San Siro, la neve, Milito e Miccoli si rigenerano completamente, 4 gol per l’argentino, 3 gol per l’italiano, ma tra i due litiganti si intromette Mantovani, che con la sua rete (a dire il vero, la prima della gara) stabilisce un 4-4 che funge da spot per il calcio e per le mille emozioni che può regalare, ma anche da freno per quella che si può considerare, la rincorsa nerazzurra allo scudetto. Pare assurdo pensare che quando un giocatore mette a segno un poker, non riesce a regalare alla squadra la vittoria, e che una squadra, il Palermo, che nell’arco di un girone ha segnato solo due gol in trasferta, non appena riesce anch’essa a segnarne quattro, torni a casa con un solo punto. Tra l’altro, uno dei due gol segnati all’andata, era un autogol.
Autogol che ha deciso di farsi la Roma, auto-punendosi al Sant’Elia (a cosa serve fare lo stadio nuovo se non ci va nemmeno un tifoso?) regalando disattenzioni difensive degne dei più nostalgici “Zemaniani”, e altrettanti errori in fase realizzativa, senza riuscire a segnare in 45 minuti d’assedio, concedendo anche il gol del 4-2 negli ultimi minuti, merito dello splendido lavoro di Ibarbo, sempre più centometrista.
L’Udinese pare aver cosparso di polvere magica lo stadio del Friuli, dove ha vinto e vince sempre, tranne in occasione della partita con la Juve. Ha un che di fantascienza la storia di Michele Pazienza, tornato all’Udinese, e dopo neanche 2 minuti sigla la sua prima rete in bianconero. Dall’altro canto, il Napoli pare non aver ripassato, il Cesena lo interroga, ed ecco l’ennesimo pareggio; viziato sì, da errori arbitrali, ma fatto sta che i partenopei non riescono più a vincere, e ora la vetta dista ben 14 punti, con la Juventus che ha una partita in meno. Domani, tempo permettendo, sotto con Novara-Chievo, in attesa di questi quattro recuperi, che più di tanto non ci hanno fatto disperare..
Walter Mazzarri in camicia. Ansa